Con la sentenza n. 17573
del 2005 (CED n. 584218), la Suprema Corte ha messo a punto un principio
generale, e ne ha affermato l’ultravalenza anche in ambito stradale.
La massima di cui parliamo recita: “L’elencazione, contenuta nell’art. 384
d.P.R. n. 495 del 1992 (regolamento di esecuzione del nuovo codice della
strada), dei casi in cui deve ritenersi giustificata la mancata contestazione
immediata della violazione non può considerarsi esaustiva, ma è solo
esemplificativa, sicché ben possono ricorrere casi ulteriori in cui una tale
impossibilità sia ugualmente ravvisabile, e compete al giudice di merito
valutare se la circostanza impeditiva addotta, purché risulti dal verbale di accertamento,
abbia una sua intrinseca logica e la valenza stabilita dalla norma
regolamentare, senza che, però, al giudice stesso sia consentito, in tale
esame, alcun sindacato sul “modus operandi” degli accertatori”. Nel caso di
specie, la Corte ha respinto il ricorso avverso la sentenza di merito che aveva
posto a base della ritenuta impossibilità della contestazione immediata la
circostanza, risultante dal verbale, che gli agenti di polizia stradale
accertatori viaggiavano a bordo di autovettura munita di targa "di
copertura" nell’espletamento di servizio di prevenzione e repressione a
tutela della collettività e che, per il perseguimento di tali finalità, non era
opportuno esporsi.
Su un piano meramente fattuale, questa sentenza riconosce quella potenziale
miriade di situazioni in cui gli organi di polizia, mentre stanno operando ad
altro fine, incidente, possono “imbattersi”, sulla strada, in condotte
antigiuridiche che meriterebbero un intervento immediato (la contestazione, o
comunque la rilevazione). In questo caso, ha ricordato la Corte, occorre
valutare se un simile intervento possa pregiudicare il buon esito dell’attività
che si sta svolgendo.
Il principio, però, non è assoluto. E’ ovvio che se gli operatori di polizia
sono impegnati in un’indagine volta a rintracciare un pericoloso latitante, e
hanno esigenza di agire inosservati, non si metteranno a contestare divieti di
sosta. Ciò sarebbe materia di paradosso. Anzi, in quel caso, potranno anche
lasciar perdere completamente (senza neanche riservarsi la c.d “contestazione
differita”). Ma nel caso in cui, ad esempio, ci si imbatta in un ubriaco che va
a zig zag e mette a repentaglio la sicurezza pubblica, ossia costituisce una
vera e propria scheggia impazzita, con rischio di morte per gli utenti della
strada? Che fare? Abbandonare o allentare l’attività a cui si sta procedendo,
con rischio di pregiudicarne l’esito, oppure perseverare e non distrarsi in
alcun modo, accettando così il rischio che l’ubriaco causi disastri?
Si tratta di una delicata operazione di bilanciamento degli interessi in gioco.
Sembra chiaro in ogni caso che, ogni volta che vi sono pesanti rischi per
l’incolumità delle persone, si debba intervenire. Lo spettro delle questioni
affrontate dalla Corte, allora, forse pare più leggibile e circoscritto, e
riguarda, più prosaicamente, l’opportunità, ordinaria, di procedere o di
tentare la contestazione immediata, oppure di riservarsi la contestazione
differita. In questo caso, ha detto in sostanza la Corte, possono a buon
ragione subentrare le scriminanti dell’adempimento del dovere (che qui
trarrebbe fonte nell’ordine dell’autorità gerarchicamente sovraordinata) o
dello stato di necessità.
Quest’ultima potrebbe ricorrere, in particolare, nelle attività di prevenzione
di reati. Ipotizziamo, ad esempio, il caso di un servizio di osservazione per
impedire un sequestro di persona annunciato da una “soffiata”: ricorre qui il
c.d. “conflitto di doveri”, che deve essere risolto a favore del dovere posto a
tutela dell’interesse maggiore. Ma vi possono essere anche casi in cui la
“omessa contestazione” sia addirittura funzionale all’accertamento dei fatti
reato per cui di indaga. Se, ad esempio, si vorrà sgominare un’organizzazione
criminale che si dedica al riciclaggio di autoveicoli rubati tramite sostituzione
di targhe, è ovvio che bisognerà liberamente lasciare circolare i mezzi “corpo
del reato”. Anzi, maggiormente essi circolano, meglio sarà per le indagini e
per gli inquirenti. In questo caso, contestare un divieto di sosta, davvero,
sarebbe roba da Stanlio e Ollio. E parlando di fiction, o di cinema, non
bisogna dimenticare come l’operatore della legge si possa anche trovare in
situazioni, non contemplate da alcuna norma (e per le quali neppure soccorrono
principi non scritti), in cui potrebbe essere difficile, se non autolesionista,
procedere a qualsiasi tipo di contestazione.
Ricordate il famosissimo film “Il vigile” (1960) con Alberto Sordi? In quel
caso lo zelante protagonista si trovava a inseguire il sindaco (di Roma, fra
l’altro) sorpreso in flagrante violazione stradale mentre si stava recando a
casa dell’amante. Ma questo era solo un caso umano, e non giuridico.
* Gip
presso il Tribunale di Forlì
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