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Corte di Cassazione 07/07/2006

Giurisprudenza di legittimità - Strade – Cartelli pubblicitari – Lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e strade ex-traurbane principali – Divieto – Valutazione preventiva di pericolosità operata dal legislatore – Sussistenza

(Cass. Civ., sezione I, 2 settembre 2005, n. 17704)

Giurisprudenza di legittimità
Corte di Cassazione Civile
Sez. I, 2 settembre 2005, n. 17704

 
Depenalizzazione – Strade – Cartelli pubblicitari – Lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e strade ex-traurbane principali – Divieto – Valutazione preventiva di pericolosità operata dal legislatore – Sussistenza – Diverso apprezzamento da parte dell’interprete – Esclusione.

 
In tema di sanzioni amministrative connesse alla circolazione stradale, la perentoria previsione del comma 7 dell’art. 23 del D.L.vo 30 aprile 1992, n. 285, che vieta qualsiasi forma di pubblicità lungo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extra-urbane principali e relativi accessi, sottende una valutazione preventiva ad opera del legislatore della pericolosità di ogni messaggio pubblicitario, in qualsiasi forma possibile, che non lascia spazio a diversi apprezzamenti in concreto da parte dell’interprete (nella specie è stato confermato che l’illecito fosse integrato anche da pubblicità effettuata mediante volantini inseriti in appositi contenitori collocati in adiacenza di caselli autostradali).

 

Svolgimento del processo. – M. D. R., in proprio e nella qualità di legale rappresentate della Maitoi Srl, proponeva distinte opposizione dinanzi al Tribunale di Monza avverso tre ordinanza-ingiunzione emesse dal Prefetto della Provincia di Milano il 9 ed il 10 luglio 1999, con ciascuna delle quali era stato ingiunto il pagamento della somma di lire 1.221.600, nonché la rimozione delle opere abusive, per essere stata effettuata pubblicità lungo un percorso autostradale, in violazione dell’art. 23 comma 7 del codice della strada, e specificamente per essere stati installati all’esterno della cabine di esazione del pedaggio autostradale alcuni contenitori nei quali erano stati inseriti dei pieghevoli pubblicitari.

Costituitosi il contraddittorio e riuniti i giudizi, con sentenza del 10 febbraio – 18 marzo 2000 il tribunale rigettava le opposizioni, osservando in motivazione che i tre provvedimenti prefettizi dovevano considerarsi tempestivamente emessi, in quanto adottati nel termine di novanta giorni dalla presentazione dei rispettivi ricorsi al Prefetto avverso i verbali di contestazione, ed erano stati legittimamente assunti, attesa la natura pubblicitaria del materiale esposto e considerato l’espresso divieto, contenuto nel comma primo dell’art. 23 del codice della strada, di collocare lungo le strade materiale pubblicitario, rafforzato per le autostrade e le strade internazionali dal comma settimo dello stesso art. 23, che consente la pubblicità unicamente nelle aree di servizio o di parcheggio solo se autorizzate dall’ente proprietario, e sempre che non sia visibile dalle strade.

Osserva altresì che anche l’ordine di rimozione appariva legittimamente emesso nei confronti degli opponenti, in quanto proprietari dei contenitori, atteso che il contratto intercorso con la Autostrade Concessioni e Costruzioni Autostrade Spa non prevede alcun trasferimento della proprietà degli stessi, ma consentiva il loro uso anche a detta società a condizione che non fossero stati già richiesti in pagamento da terzi e che la manutenzione fosse a carico della Maitoi Srl.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione M. D. R., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della Maitoi Srl, deducendo tre motivi. Il Prefetto di Milano ha respinto con controricorso. Entrambi le parti hanno depositato memorie.

Svolgimento della desisione. – Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 204 del D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285, si censura la sentenza impugnata per aver rigettato il motivo di opposizione concenente la tardività delle ordinanze-ingiunzioni sul rilevo che il termine di novanta giorni previsto dalla legge riguarda l’emissione, e non la notifica del provvedimento sanzionatorio: si osserva in contrario che tale termine alla data della notifica, quale unica data certa.

La censura è infondata.

Premesso che, come accertato dal Tribunale e non contestato in questa sede, le tre ordinanze-ingiunzioni sono state emesse entro il termine di novanta giorni – applicazione nella specie ratione temporis, ai sensi dell’art. 106 del D. L.vo n. 360 del 1993, dovendosi aggiungere a quello di sessanta giorni previsto quello di tenta giorni di cui all’art. 203 comma 2 del codice della strada, nel testo all’epoca vigente – dalla data di presentazione del ricorso al Prefetto e che soltanto l’ordinanza-ingiunzione n. 89 del 9 luglio 1999 è stata notificata dopo la scadenza di detto termine, la censura in esame può riguardare soltanto detto provvedimento. Essa è peraltro infondata, atteso che il disposto dell’art. 204 del codice della strada è univoco nell’indicare che nel termine previsto deve avvenire l’emissione, e non la notifica dell’ordinanza. In tal senso è la giurisprudenza consolidata di questa Suprema Corte, che ha posto in evidenza che l’espressione emette contenuta nella norma richiamata è sinonimo nella terminologia giuridica dei termini emana o adotta e non richiede che il provvedimento sia portato a conoscenza dell’interessato. Si è al riguardo opportunamente osservato che nella previsione di un termine concesso ad un organo dell’amministrazione per lo svolgimento di un determinato procedimento non possono ricomprendersi altre attività, sia pure accessorie, non previste espressamente, che sfuggono al diretto controllo di detto organo, in quanto di competenza di altri soggetti, e che il ritenere il contrario non solo comporterebbe una riduzione del termine concesso al Prefetto, ma anche renderebbe aleatorio l’esito positivo della procedura indipendentemente dalla tempestività dell’azione amministrativa (v. Cass. 2005 n. 6771; 2004 n. 3140; 2003 n. 19323; 2003 n. 15768).

Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 23 comma 7 del D.L.vo 30 aprile 1992 n. 285, motivazione contraddittoria e insufficiente, si sostiene che il tribunale ha erroneamente interpretato la norma richiamata: premesso che la ratio di essa è quella di garantire la sicurezza della circolazione, si osserva che la maggiore pericolosità del traffico in autostrada non giustifica l’estensione del divieto a forme di pubblicità che non sono di per sé idonee ad incidere sulla sicurezza, dovendosi l’assolutezza del divieto di qualsiasi forma di pubblicità in autostrada essere sempre valutata in relazione alla finalità perseguita dalla legge. Si rileva altresì che lo svolgimento mediante collocazione del materiale in contenitori apposti sotto la cabina del casellante non impegna direttamente l’automobilista, il quale è lasciato libero di acquistarlo in un momento in cui si trova fermo al casello autostradale.

Il motivo è infondato. Ed invero la perentoria previsione del comma 7, che vieta qualsiasi forma di pubblicità luogo e in vista degli itinerari internazionali, delle autostrade e delle strade extraurbane principali e relativi accessi, rende evidente la volontà del legislatore di sottoporre tali vie di comunicazioni, in ragione dei maggiori rischi per la sicurezza della circolazione, a particolari cautele, impedendo lungo e in vista di esse qualsiasi pubblicità, in qualsiasi forma attuata. La generalità del divieto sottende una valutazione preventiva ad opera del legislatore della pericolosità di ogni messaggio pubblicitario, in ogni forma possibile, in quanto potenzialmente idoneo a distrarre dalla guida i conducenti di autoveicoli, o a creare confusione nella lettura della segnaletica, che non lascia spazio a diversi apprezzamenti in concreto da parte dell’interprete.

A nulla rileva pertanto ai fini della integrazione dell’illecito che la pubblicità sia effettuata mediante volantini lasciati, in appositi contenitori, a disposizione degli utenti della strada, e non mediante l’apposizione di cartelli di immediata ed inevitabile percezione: come ha correttamente rilevato la sentenza impugnata, la specifica indicazione contenuta nell’ultimo periodo del comma 7 dell’art. 23, aggiunto dall’art. 30, comma 1, lett. a) della legge n. 472 del 1999, a tenore del quale sono consentite le insegne di esercizio, con esclusione dei cartelli e delle insegne pubblicitarie e altri mezzi pubblicitari, ribadisce la volontà del legislatore di assimilare nel divieto ogni forma di pubblicità, con le sole eccezioni previste nello stesso comma 7.

Né può fondatamente che la pubblicità posta in essere all’esterno dei caselli autostradali sia assimilabile a quella consentita dalla stessa norma nelle aree di servizio o di parcheggio, attesa la evidente diversità tra le due situazioni fattuali e la diversità delle esigenze di sicurezza da fronteggiare, e specificamente considerato che in dette are, destinate per definizione alla sosta, il conducente non è impegnato alla guida, mentre nella zona dei caselli autostradali lo stesso conducente si trova al volante dell’autovettura, è immediatamente seguito da altre autovetture ed è tenuto a riprendere la marcia appena completate le operazioni di pagamento del pedaggio.

Va ancora rilevato che la circostanza che la zona del casello autostradale faccia parte della autostrada non ha costituito oggetto di contestazione in sede di opposizione alle ordinanze-ingiunzione, come si evince dalla sentenza impugnata, né motivo di ricorso; del tutto inammissibilmente pertanto i ricorrenti in sede di memoria illustrativa deducono la estraneità di tale area alla disciplina propria delle autostrade.

Con il terzo, motivo denunciano omesso esame e/o illogica valutazione delle prove offerte, si censura la sentenza impugnate per aver affermato, nel ravvisare la legittimità dell’ordine di rimozione, che la Maitoi Srl è proprietaria dei contenitori, in contrasto con il testo dell’accordo intercorso con la Autostrada Concessioni e Costruzioni Autostrade Spa prodotto in giudizio, ai sensi del quale i take away installati sarebbero divenuti di proprietà esclusiva di quest’ultima alla data di sottoscrizione dell’accordo stesso.

Tale motivo è inammissibile, in quanto si sostanzia nella denuncia di un erroneo accertamento della proprietà dei contenitori sulla base del documento prodotto e nella sollecitazione ad una diversa lettura di esso, e non nella prospettazione di vizi motivazionali, né tanto meno di violazione di cannoni ermeneutici nella interpretazione dell’accordo intercorso tra le parti.

Il ricorso deve essere in conclusione rigettato.

Sussistono giusti motivi pere la compensazione tra le parti delle spese di questo giudizio di cassazione. (Omissis). [RIV-0605P525]

 


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Venerdì, 07 Luglio 2006
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