Giurisprudenza di legittimità Corte di Cassazione Penale Sez. III, 1 febbraio 2005, n. 3333
Inquinamento –
Rifiuti – Attività di gestione – Non autorizzata – Configurabilità –
Fattispecie in tema di autoveicoli destinati alla rottamazione.
In tema di gestione
dei rifiuti, configura la violazione dell’art. 51, comma primo, del D.L.vo 5
febbraio 1997 n. 22 (attività di gestione di rifiuti non autorizzati) il
deposito in area privata di più carcasse di autoveicoli di proprietà di terzi
ed in attesa di demolizione, giacchè in tale caso non si verte né nella ipotesi
di deposito temporaneo, possibile solo nel luogo di produzione del rifiuto, né
di stoccaggio, che integra un’attività di smaltimento effettuabile in area
abilitata autorizzazione.
Svolgimento del processo e motivi
della decisione. –
Con la decisione indicata in premessa, la Corte di appello di Lecce conferma
integralmente la sentenza 6 maggio 2002 con la quale il Tribunale di Brindisi,
in composizione monocratico, aveva condannato A. R. alla pena di mesi 4 giorni
20 di arresto ed euro 2.200,00 di ammenda in ordine al reato di cui all’art.
51, comma 1 lett. a) e b), D.L.vo n.
22/1997, accertato il 25 luglio 2000 (smaltimento non autorizzato, in area
attigua alla sua abitazione, di rifiuti speciali e pericolosi, consistenti in
quattro carcasse di veicoli in attesa di demolizione, pezzi di motore, rottami
ferrosi ed oli esausti da autotrazione). L’imputato ricorre per cassazione, deducendo nullità della
sentenza ex art. 606, comma 1 lett. b) ed e), c.p.p. in relazione agli artt. 51
e 50 D.L.vo n. 22/1997 (illogicità e contraddittorietà della motivazione in
ordine all’individuazione degli elementi costitutivi dell’art. 51; erronea
applicazione di tale norma alla fattispecie, in luogo di quella di cui all’art.
50), in quanto egli non effettuava di stoccaggio di rifiuti, connotata da una
«serie di atti sistematici e ripetuti e con una organizzazione sia pure
rudimentale di uomini e mezzi», ma si era limitato, in una sola occasione, ad
abbandonare sul suolo materiale proprio. Pertanto poteva al massimo
configurarsi la violazione amministrativa di abbandono di rifiuti effettuato da
privati, prevista dal medesimo art. 50.
All’odierna udienza dibattimentale, il P.G. e la difesa
concludono come riporto in premessa.
Il ricorso non merita accoglimento.
Il ricorrente, sebbene sotto forma di doglianza «in
diritto», ripropone sostanzialmente censure «in fatto», che trovano risposta
adeguata, logica e corretta nelle due sentenze di merito. Senza ripetere le argomentazione di esse, va solo
ricordato che l’attuale di rito prevede come motivo di ricorso per cassazione,
attinente alla motivazione della sentenza impugnata, esclusivamente la mancanza
o la manifesta illogicità della stessa (quando detti vizi però risultano dal
testo steso del provvedimento); in particolare, per quanto attiene al giudizio
di penale responsabilità dell’imputato, è d’uopo ribadire che l’indagine di
legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte
circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere
limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un
logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza
possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice
di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro
rispondenza alle acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della
Corte di cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata
al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera
prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione
delle risultanze processuali. Ciò premesso in linea teorica, rileva il collegio che il
ricorrente sostiene in definitiva la non ravvisabilità del reato, potendosi
configurare al massimo nei suoi confronti l’ipotesi di «deposito incontrollato»
di rifiuti propri, penalmente non punibile ex art. 50, comma 1, D.L.vo n.
22/1997, giacchè egli non è titolare di imprese né responsabile di enti, ai
sensi del secondo comma dell’art. 51 dello stesso decreto. L’infondatezza di tale assunto risulta evidente dagli
atti, considerato che l’imputato svolge attività di bracciante agricolo e che
carcasse di veicoli e gli altri rifiuti rinvenuti sulla propria area, attigue
alla sua abitazione, non erano suoi, ma di parenti ed amici, ed erano ivi
raccolti in attesa di essere smaltiti, come da lui stesso affermato. Addirittura, da un secondo sopralluogo, effettuato dopo
oltre otto mesi, è risultato che solo uno dei quattro veicoli era stato
rimosso, mentre gli altri ed il restante materiale era ancora in quel luogo. Non può dunque parlarsi evidentemente di abbandono o
deposito incontrollato di rifiuti propri, disciplinato dall’art. 50 sopra
menzionato, come pretende il ricorrente, e neppure del «deposito temporaneo»
definito dall’art. 6, comma 1 lett. m), del decreto Ronchi («il raggruppamento
di rifiuti effettuato, prima della raccolta, nel luogo in cui sono prodotti»,
sia perché i rifiuti in questione non sono stati prodotti in quel luogo, sia
perché non ricorrono le sei condizioni alle quali la menzionata norma subordina
la configurabilità del deposito temporaneo. Deve invece ravvisarsi – come correttamente ritenuto dai
giudici di merito – l’ipotesi di raccolta e smaltimento senza autorizzazione, e
quindi di gestione, di rifiuti speciali (pericolosi e non) provenienti da
altri, considerato che lo «stoccaggio», consistente nel deposito temporaneo
effettuato non nel luogo di produzione del rifiuto, costituisce un’attività preliminare
alle altre operazioni di smaltimento indicate nell’allegato B del decreto, che
può essere effettuato solo sull’area a ciò abilitata e dunque è soggetto
anch’esso ad autorizzazione.
Il gravame, pertanto, è infondato. (Omissis).
[RIV-0602P174]
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