(Asaps)
Pizza? Spaghetti? Catenaccio? Perché no, se servono a suonarle? Siamo un paese
di straccioni, hanno detto, di parassiti, di furbi. Eppure ogni tanto ci capita di stare lassù,
nel gotha, sopra tutto e sopra tutti, alla faccia di chi ci vuole sempre e
comunque male. È nostra la coppa del mondo, è nostra e ce la teniamo per
quattro anni, avvicinandoci minacciosi al pentarecord del Brasile.
Abbiamo
vinto senza discussioni, con un gruppo di gente piena di quattrini che si è
messa al nostro servizio, che ha rappresentato un’Italia intera senza destre né
sinistre – a parte le fasce – un calcio che pareva aver incassato il gol più
vergognoso della sua storia in tricolore, che sembrava tutto appendice di un
organismo malato e putrefatto, che ha ingannato il Paese dove la palla fa
correre davvero tutti.
Non era
così: lo speravamo nel nostro intimo, e in fondo lo sapevamo. Troppo diverso lo
sguardo di quelle bieche sanguisughe che complottavano per tradire il cuore di
tutti i tifosi, di tutti gli amanti di uno sport che ora pretende pulizia più
completa.
Tabula
Rasa, avrebbero detto gli antichi romani, che giocavano ad un calcio che si
chiamava Harpastum, parola che se la traduci dal greco antico, “arpazo”, vuol dire “strappare con forza”.
Noi
questa coppa l’abbiamo strappata con forza, in una terra straniera che si
chiama Europa, che è anche nostra, ma che cova ancora sentimenti strani nei
nostri confronti. Tedeschi e francesi ci hanno fischiato in continuazione,
senza tregua, nonostante le prodezze di gente come Buffon, Cannavaro o come
Materazzi, che hanno rispettivamente respinto e spinto la palla, facendola
impazzire, da una rete all’altra.
Senza
Moreno di mezzo, che Dio abbia pietà del suo fischietto, abbiamo finalmente
rimesso le cose in pari.
Ancora
parlavano di noi, dicendo che Materazzi aveva offeso Zizou, che però non ha
pensato all’immensa cavolata che stava per fare e che ha fatto. Nervi a pezzi,
orgoglio ferito? Beh, allora vuol dire che se una volta c’è cascato Totti,
stavolta è toccato a lui, un Re del calcio, al quale ci inchiniamo, che però
non ha concluso la sua carriera nel migliore dei modi.
Non è il
nostro settore, lo ammettiamo, ma un grazie lo volevamo dire anche noi: 70 anni
dopo le olimpiadi naziste di Berlino, quelle in cui Jesse Owens, il nero veloce
come il vento ficcò nel cuore del reich quattro stilettate d’oro, quelle in cui
anche i nostri colori strapparono applausi con Vincenzo Pozzo, tecnico della
nazionale olimpica che vinse il titolo, la storia si ripete.
L’Italia,
l’Italia di Lippi e di tutti gli italiani, ha rimesso in piedi il muro di
Berlino, impenetrabile, come la porta di Gigi, violata solo da Zaccardo e da un
rigore nei tempi regolamentari.
Ora, mesdames
et messieurs, sarebbe il caso di ridarci la Gioconda: in fondo Leonardo da
Vinci era italiano. Era di Vinci: parola che parla da sola. Per l’esattezza un
imperativo, del verbo vincere. (Asaps)