Giurisprudenza di legittimità
Si costituivano i signori S. eccependo l’irritualità della
vocatio in ius e contestando la
responsabilità a carico della figlia che non aveva urtato il veicolo in sosta
ma vi si era solo accostata. Rilevavano inoltre che alla fattispecie non poteva
applicarsi alcuna presunzione di colpa in favore del trasportato e chiedevano
il rigetto della domanda di risarcimento. Il GdP di Gallipoli con sentenza del 10/18 febbraio 1998
rigettava la domanda di risarcimento e compensava le spese processuali. Proponevano appello i signori B.. Nel corso del giudizio di appello si costituivano in
proprio A.B. e M.S. divenuti maggiorenni. Ricorre per cassazione contro la sentenza del Tribunale di
Lecce M.S., unitamente ai genitori, deducendo quattro motivi di ricorso
(attinenti a erronea, incoerente ed illogica valutazione della testimonianza,
erronea analisi su un punto decisivo della controversia costituito dalla
condotta della ricorrente, violazione e falsa applicazione dell’articolo 2054
Cc, illegittima quantificazione del danno). Motivi della decisione Va in primo luogo affrontato il terzo motivo di ricorso
che attiene a violazione e falsa applicazione di legge. Con tale motivo la
ricorrente si limita sostanzialmente a ricordare che accanto all’orientamento
giurisprudenziale più recente – che ritiene l’applicabilità dei principi
generali espressi dall’articolo 2054 Cc a tutti i soggetti che ricevono danni
dalla circolazione dei veicoli – esiste un orientamento contrario che ritiene
non invocabile da parte dei terzi trasportati la presunzione di colpa ex articolo 2054 del Cc. L’orientamento ormai consolidato di questa Corte è nel
senso di ritenere che «in materia di responsabilità derivante dalla
circolazione dei veicoli, l’articolo 2054 Cc esprime, in ciascuno dei commi che
lo compongono, principi di carattere generale, applicabili a tutti i soggetti
che da tale circolazione comunque ricevano danni, e quindi anche ai
trasportati, quale che sia il titolo del trasporto, di cortesia ovvero
contrattuale (oneroso o gratuito). Consegue che il trasportato,
indipendentemente dal titolo del trasporto, può invocare i primi due commi
della disposizione citata per far valere la responsabilità extracontrattuale
del conducente ed il comma 3 per far valere quella solidale del proprietario,
che può liberarsi solo provando che la circolazione del veicolo è avvenuta
contro la sua volontà ovvero che il conducente aveva fatto tutto il possibile
per evitare il danno». (Cassazione, Sezione terza civile 10629/98 e fra le
molte sentenze conformi successive Cassazione, Sezione terza civile 4022/01).
Si tratta di un indirizzo giurisprudenziale che non incontra più contrasto
nelle pronunce della Corte di legittimità e rispetto al quale non sussistono
motivi di dissenso che possano basarsi in particolare sulla fattispecie in
esame. Il primo e il terzo motivo di ricorso possono essere
trattati congiuntamente dato che si riferiscono entrambi a censure di
insufficienza o inadeguatezza della motivazione. Si tratta di censure che,
lungi dall’individuare elementi di fatto non adeguatamente valutati dai giudici
di appello, si propongono in realtà come contestazioni della decisione di
merito e sono intese a provocare una diversa valutazione dei fatti. Per ciò che concerne la valutazione consentita al giudice
di legittimità deve rilevarsi che la motivazione della sentenza impugnata
appare esauriente e immune da vizi logici. Dopo avere affermato l’applicabilità
dei principi di cui all’articolo 2054 Cc i giudici del Tribunale di Lecce hanno
escluso che la S. abbia fornito la prova liberatoria consistente nella
dimostrazione di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno. In
particolare non risulta ai giudici dell’appello, sulla base delle acquisizioni
istruttorie, che la S. abbia rispettato le norme del Cds a quelle di comune
prudenza e diligenza. Risulta al contrario che la S. procedesse alla guida del
ciclomotore con a bordo non solo il B. ma anche un’altra amica. Quest’ultima, sentita come testimone, ha dichiarato che il
B. sedeva dietro di lei e, «pur stando composto, teneva le gambe divaricate
trovandosi nella posizione di ultimo sul vespino». L’incidente si verificò
secondo la ricostruzione della testimone perché il B. urtò con il ginocchio una
macchina in sosta, costeggiata dal ciclomotore, e cadde in terra procurandosi
le lesioni personali per le quali chiede il risarcimento in questo giudizio.
Secondo il Tribunale di Lecce da tale deposizione deve dedursi che la S. adottò
una condotta di guida non adeguata alle condizioni eccezionali in cui viaggiava
il ciclomotore. In particolare la S. avrebbe dovuto evitare di procedere a
ridosso delle autovetture in sosta mentre nessun addebito può essere mosso al
B. per la posizione divaricate delle sue gambe che evidentemente dipendeva
dalla presenza di un altro trasportato sul ciclomotore, presenza che impediva
al B. di appoggiare i piedi sull’apposita pedana e lo costringeva a posizione
le gambe in corrispondenza della parte più larga della scocca del veicolo. A fronte di questa precisa ricostruzione del fatto che si
basa sulla deposizione di una teste assolutamente rilevante, i ricorrenti si
limitano sostanzialmente a contestare la sussistenza di una prova positiva
della responsabilità esclusiva di M.S. nella causazione del sinistro. Tale
contestazione è evidentemente in contrasto con l’onere probatorio che incombeva
loro per effetto dell’applicazione dell’articolo 2054 Cc alla fattispecie. Essa inoltre non tiene conto della congruenza della
ricostruzione dei fatti compiuta dai giudici di appello, ricostruzione cui non
è contrapposta alcuna ipotesi alternativa di verificazione del sinistro, che
non sarebbe stata adeguatamente valutata dai giudici dell’appello I ricorrenti lamentano anche che il Tribunale di Lecce non
abbia determinato in quale misura il B., con la sua decisione imprudente di
salire a bordo del ciclomotore, abbia concorso a determinare l’incidente. In
questa sede si può esclusivamente rilevare che tale mancata determinazione non
può considerarsi un’omissione da parte dei giudici di appello. Infatti se
si ha presente la ricostruzione del
sinistro operata nella motivazione della sentenza leccese si evince
chiaramente, come si è già detto, che la responsabilità del sinistro è stata
attribuita alla conducente del ciclomotore per la sua guida inadeguata alla
situazione anomala cui si era esposta ospitando due persone a bordo dello
scooter. Per altro verso emerge dalla motivazione, da un lato, la valutazione
per cui l’adozione di una condotta di guida prudente e adeguata alla situazione
avrebbe di per sé consentito di evitare il sinistro e, dall’altro, il rilievo per
cui, da parte degli odierni ricorrenti, non è stata fornita alcuna prova
contraria a tale assunto basata su circostanze oggettivamente valutabili. Infine con il quarto motivo i ricorrenti lamentano che il
Tribunale di Lecce, nel liquidare il danno, si è limitata «ad adottare il
criterio gabellare predeterminato e standardizzato, senza dare congrua
motivazione in ordine all’adeguamento di quel valore alle peculiarità del caso
esaminato». Il motivo è del tutto generico in quanto non indica a quali
peculiarità il giudice dell’appello avrebbe dovuto fare riferimento. Appare opportuno ricordare, inoltre, che, in tema di
liquidazione del danno biologico che è di natura equitativa, il giudice dei
merito può anche ispirarsi a criteri predeterminati e standardizzati, come il
cosiddetto criterio gabellare, desunto dai precedenti giudiziari dell’ufficio
di merito che provvede alla liquidazione; in tal caso, non deve motivare il
criterio applicato (Cassazione civile, Sezione terza, sentenza 16237/05).
Peraltro poiché le tabelle non costituiscono norme di diritto, né rientrano
nella nozione di fatto di comune esperienza, di cui all’articolo 115 Cpc, la
parte che in sede di legittimità lamenti il vizio di motivazione della sentenza
– consistente nell’incongrua applicazione delle tabelle – non può limitarsi ad
una generica denuncia del vizio relativamente al valore del punto preso in
considerazione, ma deve dare conto delle tabelle invocate, indicando in quale
atto sono state prodotte e in quale senso sono state disapplicate o
incongruamente applicate dal giudice di merito (Cassazione civile, Sezione
terza, 27723/05). Il ricorso va pertanto respinto con condanna dei
ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nella misura
indicata in dispositivo. |
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