Chi guida
può salvare i punti della patente davanti al giudice di pace, anche se la
sanzione pecuniaria, prevista per l’infrazione, è già stata pagata dal
proprietario del veicolo. Un assioma di cristallina semplicità, a prima vista,
se non fosse che dal codice della strada si ricava la regola esattamente
opposta secondo la quale, una volta estinta la sanzione, il ricorso è precluso.
E’ vero che questo sistema è stato tacciato di illegittimità costituzionale,
giacché preclude la possibilità di chi subisce la decurtazione dei punti di
difendersi in giudizio solo per il fatto che il proprietario del veicolo ha
deciso di saldare il conto. E’ vero che alla fine la Corte costituzionale si è
pronunciata sul punto con la sentenza n. 471/2005, mettendo col cuore in
pace coloro che fino ad ieri avevano trovata chiusa la porta del Giudice di
pace, ma quello che più fa specie è che la funambolica decisione ha creato un
curioso paradosso: infatti, da un lato ha aperto la possibilità, per il
conducente, di far valere comunque le proprie ragioni davanti al giudice per
mettere in salvo i punti, dall’altro ha confermato la validità della normativa
che lo impediva, dissipando ogni dubbio di illegittimità costituzionale del
combinato disposto dell’art. 204 bis e 126 bis del codice della
strada. Per spiegare l’arcano procediamo per tappe logiche. La prima norma -
art. 204 bis – prevede la possibilità, per il trasgressore, di ricorrere al
Giudice di pace “qualora non sia stato effettuato il pagamento in misura
ridotta”. L’art. 126 bis, per parte sua, contempla
l’obbligo di segnalazione da parte dell’organo di polizia stradale, delle
violazioni che comportano la decurtazione del punteggio sulla patente
all’anagrafe nazionale degli abilitati alla guida. La segnalazione, più
precisamente, deve essere inoltrata entro trenta giorni dalla definizione della
contestazione effettuata. Si intende “definita”, la contestazione, quando sia
avvenuto il pagamento oppure sia scaduto il termine per l’opposizione o
definito l’iter di eventuali ricorsi. Certo è una procedura chiara, lineare,
cartesiana. Ma, cosa succede se il proprietario del veicolo paga, ed allo
stesso tempo la segnalazione per la decurtazione dei punti viene inviata alla
banca dati carico, di un altro soggetto, cioè di chi guidava? L’art. 200 Cds,
lo sappiamo, stabilisce che la contestazione deve essere fatta tanto al
trasgressore che all’obbligato in solido, ed il successivo art. 201 prevede
che, se l’infrazione non sia contestata immediatamente, tanto l’uno che
l’altro, dovranno ricevere la notifica al domicilio. Stando ai termini tecnici,
sono obbligati in solido con il trasgressore, ai sensi dell’art. 196 Cds, il
proprietario del veicolo, o l’usufruttuario, l’acquirente con patto di
riservato dominio o l’utilizzatore a titolo di locazione finanziaria. In buona
sostanza, se non paga il trasgressore, pagherà l’altro. Così, si può profilare
l’ipotesi in cui l’obbligato in solido, pagando, estingua il contenzioso
infischiandosene però dell’opinione del trasgressore che pure è destinatario
della decurtazione dei punti, precludendogli ogni opposizione per far valere le
proprie ragioni in giudizio. Tutto questo perché l’art. 204 bis,
stabilisce il raffreddamento del contenzioso quando la sanzione è stata pagata
in misura ridotta: l’amministrazione incassa, e amen. E’ su questo punto che il
Giudice di pace di Varazze ha sollevato i dubbi di legittimità costituzionale
in relazione agli artt. 24 e 3 Cost., dal momento che, in un
giudizio di opposizione instauratosi davanti al medesimo, la pubblica
amministrazione resistente reputava irricevibile il ricorso del trasgressore
destinatario della decurtazione dei punti, poiché il solidale aveva pagato
chiudendo, ai sensi dell’art. 204 bis, la partita. Il trasgressore vedendosi
preclusa la possibilità di ricorrere, quindi, in rigorosa applicazione
dell’art. 204 bis, avrebbe dovuto accettare la decurtazione
anche ritenendo, nel caso, illegittimo l’accertamento. Si profilano, così, due
interessi in conflitto: quello dell’obbligato in solido che pagando chiude le
strade del contenzioso, quella del trasgressore che riceve una sanzione
(diciamo) consequenziale, senza poter adire il giudice, anche se la ritiene
iniqua. Ne resterebbe disatteso, così, secondo il giudice remittente, il
principio, sancito dall’art. 24 cost., secondo cui “tutti possono
agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”.
Allo stesso modo, data l’irragionevolezza di un trattamento così sperequato,
sorgerebbero altrettanti dubbi di incostituzionalità in relazione all’art. 3
Cost. Perlopiù, la Corte, si era espressa in merito all’alternatività dei
mezzi di impugnazione, ed in ossequio all’art. 24 Cost., aveva stabilito
il principio oramai consolidato dell’azionabilità diretta. Infatti, nell’ottica
di un più generale riconoscimento del diritto costituzionalmente garantito di
azionabilità diretta, davanti al giudice, delle situazioni giuridicamente
tutelabili, la Corte Costituzionale, attraverso diverse pronunce, ha per così
dire eroso l’inveterato principio della “giurisdizione condizionata” nel
contenzioso stradale, cioè il sistema secondo cui il ricorso al giudice
ordinario poteva avvenire solo dopo avere percorso la strada dei rimedi in sede
amministrativa. Il combinato disposto degli artt. 204 e 205 del
codice della strada e degli artt. 22 e 23 della legge 689/1981
prefigurava la possibilità di opposizione dinnanzi all’autorità giudiziaria
ordinaria solo avverso all’ordinanza ingiunzione emessa dal prefetto a chiusura
del procedimento contenzioso. Pertanto il verbale di contestazione, come si
evince dal tenore dell’art. 202 u.c. dello stesso codice, poteva essere
impugnato solamente innanzi a detta autorità amministrativa e, nel caso
negativo di rigetto del ricorso, solo l’ordinanza ingiunzione che
necessariamente consegue era suscettibile di un vaglio di legittimità in sede
giudiziaria. L’iter di cui trattasi è certamente ancora esperibile secondo le
previsioni sopra menzionate ma ora, in alternativa, secondo la lettura data
della predetta normativa dalla Corte Costituzionale attraverso diverse sentenze
interpretative di rigetto, vige la possibilità di impugnare il verbale di
accertamento direttamente innanzi al giudice ordinario (la categoria del
ricorso obbligatorio era già stata ridimensionata, anche per altre materie,
attraverso le sentenze della Corte Costituzionale n. 693/1988 e 781/1988).
Sul punto della ricorribilità per le sole sanzioni accessorie, nel quadro di un
contenzioso già esaurito per l’adesione del solidale al pagamento in misura
ridotta, invece, non si rinvengono precedenti decisioni della Consulta. E, la
prima decisione in termini, peraltro è di segno negativo, seppure sorretta da
una interessante interpretazione sistematica che, in concreto, offre nuove
possibilità al destinatario della sanzione accessoria. La Corte ritiene che il
combinato disposto degli artt. 204 bis e 126 bis Cds, non
contrasti con le norme costituzionali citate. Anche quando non vi sia identità
tra proprietario del veicolo e conducente, non resta certamente preclusa la
libera scelta del primo di determinarsi, senza condizionamenti di sorta, a
pagare la sanzione in misura ridotta (Corte Cost. sent. N. 468/2005).
Non necessariamente, però, questo comporta l’illegittimità degli articoli del
codice che lo permettono, in relazione alla posizione del conducente. Infatti,
in linea con una giurisprudenza recentemente affermatasi (Corte Cost. sent.
283/2005) può addivenirsi ad una interpretazione sistematica che sottrae le
norme impugnate alle censure formulate nell’ordinanza di remissione. Detta
brutalmente: diversamente interpretandola, nel sistema in cui si inquadra, la
norma resta integra nella sua legittimità. Qual è, quindi, il sistema cui
riferirsi nel caso di specie? Certamente quello definito in via generale negli art.
22 e 23 della legge 24 novembre 1981, n. 689. Così, una volta
definita la vicenda relativa alla sanzione principale, grazie al pagamento
dell’obbligato in solido (che peraltro non è destinatario della decurtazione
dei punti se non sia provato che si trovasse alla guida: Corte Cost. sent.
27/2005), nessuna norma preclude al conducente del veicolo di adire le vie
giudiziali per escludere l’applicazione a suo carico della sanzione personale
della decurtazione dei punti. La decisione è di notevole portata per le novità
che importa non solo in campo procedurale, ma anche sul terreno del sistema
sanzionatorio stesso. Partiamo dalla procedura: pur lasciando inalterata la
vigenza degli artt. 204 bis e 126 bis, Cds, la sentenza introduce la
possibilità di un disgiunto comportamento: quello della chiusura del
contenzioso da parte di un obbligato, quello dell’opposizione al verbale da
parte del destinatario della sanzione personale. Una piccola osservazione
critica: nel caso di annullamento del verbale su istanza del destinatario della
sanzione accessoria, a che titolo si legittima l’entrata di denaro relativa
alla sanzione pecuniaria già pagata in misura ridotta? Ma è ancora più
importante la tematica più sostanziale della natura della sanzione della
decurtazione dei punti sulla patente. Se si tratta di una sanzione accessoria,
deve conseguire meccanicamente alla sanzione principale (art. 126 bis). Nella
decisione in esame, però, la Corte parla di sanzione “personale”. Per le
sanzioni accessorie ad personam (analogamente a quanto vige nel sistema penale)
opera appunto un “principio di personalità”, il quale non può essere disatteso,
anche per fondamentali ragioni di credibilità e deterrenza dell’ordinamento e,
quindi, di certezza del diritto. Quindi, mentre la sanzione c.d. principale,
per un principio di solidarietà, non è strettamente personale, quella
accessoria, essendo diretta al solo conducente, può applicarsi a lui soltanto.
Giustizia è fatta, ognuno può ricorrere per parte sua. Ma un interrogativo
resta ed è sull’ordine di accessorietà, poiché nei fatti se non nel diritto ad
essere accessoria è – paradossalmente – la pena principale.
*Funzionario
Polizia di Stato
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