Con l’introduzione
dell’art. 9 ter del codice della strada (avvenuta con decreto legge n.
151/2003, convertito nella legge 214/2003), è stato sensibilmente inasprito il
trattamento sanzionatorio delle c.d. gare spontanee di velocità su strada
(reclusione da sei mesi a un anno e multa da euro 5.000,00 a euro 20.000,00 per
il solo fatto di gareggiare, reclusione da due a cinque anni se dalla gara
deriva una lesione personale per qualcuno, reclusione da sei a dieci anni se ne
deriva la morte di una o più persone). In antecedenza, le pene erano previste
dall’art. 141 comma 9 (sanzione amministrativa da euro 143,00 a euro 573,00 per
il semplice fatto di gareggiare, arresto da uno a otto mesi e multa da euro 516,00
a euro 5.164,00 per il fatto di gareggiare a qualsiasi titolo o per qualunque
finalità, ossia nell’ambito di competizioni organizzate ma non autorizzate,
casi che adesso sono regolati dall’art. 9 bis del codice della strada, pure
introdotto con decreto legge n. 151/2003, convertito nella legge 214/2003).
Come si vede, è stato compiuto un deciso salto di qualità, non solo per quanto
riguarda le pene, ma anche per quanto concerne la qualificazione dell’illecito
(non più illecito amministrativo o contravvenzione, ma addirittura delitto).
Questo, anzitutto, si ripercuote sull’elemento soggettivo della condotta, la
quale si caratterizza in termini di dolo, e non più di semplice colpa, o dolo
misto a colpa. L’analisi dell’elemento soggettivo del reato, anzi, deve tener
conto della multiforme articolazione strutturale del delitto, che viene
previsto e punito in tre distinte ipotesi, una prima ipotesi c.d. base,
relativa al semplice concerto estemporaneo di una gara e alla partecipazione ad
essa, e due ipotesi aggravate dall’evento (lesione e/o morte di qualcuno, a
causa della gara). Non sembrano esservi particolari problemi per quanto
riguarda la partecipazione alla gara. Si tratta di un tipico dolo generico, la
consapevolezza e la volontà di gareggiare per strada, sic et simpliciter (ossia
una condotta dove le regole della circolazione stradale sono distorte dal fine
concomitante di competere in velocità e/o abilità), e quindi di porre in essere
una situazione di pericolo. Si tratta, quindi, di un reato di pericolo. Più
sottile è il discorso inerente le ipotesi aggravate, tipicamente sorrette dalla
forma più peculiare del dolo eventuale, ossia l’accettazione del rischio di
qualsiasi conseguenza in pregiudizio personale di qualcuno (terzi estranei, o
gli stessi partecipanti alla gara). Qui il legislatore ha superato ogni
disquisizione possibile in termini di dolo eventuale o colpa cosciente (ossia,
partecipazione alla gara nella convinzione personale che non si verifichino
comunque eventi lesivi o letali) e ha imposto una presunzione vera e propria,
peraltro ben agganciata al dato fattuale della comune esperienza: chi trascende
in gare spontanee su strada deve sapere che, per le caratteristiche della
circolazione stradale e l’imprevedibilità di tutto ciò che normalmente la
contraddistingue, l’eventualità di un imprevisto, di un’insidia, è un dato fisiologico. Per
questo si può ritenere che queste due ipotesi costituiscano non delitti
preterintenzionali (in cui l’evento è andato oltre l’intenzione), ma delitti
aggravati dall’evento (precisamente, fattispecie in cui il reato di pericolo
trasmoda in reato di evento). In termini prosaici, la ratio della nuova
normativa colpisce il fatto in sé di chi pone in essere una situazione di
pericolo conclamato e riconosciuto, il quale deve poi accollarsi anche il fatto
dannoso in cui si realizza il rischio tipico della situazione così posta in
essere (diverso è il delitto preterintenzionale, caso classico quello
dell’omicidio preterintenzionale, in cui si provoca la morte di una persona con
un’azione lesiva normalmente insuscettibile di un simile esito, ma idonea nel
caso concreto, per essere, ad esempio, la vittima affetta da particolari e non
conosciute patologie). Ne consegue, quindi, coerentemente, la corresponsabilità
di tutti i partecipanti alla gara, per eventuali lesioni o decessi che ne
derivino. Ossia, il concorso nel reato. Ciò, peraltro, è in linea con la
giurisprudenza già affermata sotto la normativa previgente. La Cassazione,
infatti, anche quando comportamenti come questi erano sanzionabili a titolo di
colpa, già aveva affermato la “cooperazione” di tutti i partecipanti alla gara,
anche a prescindere da un preventivo accordo e quando la gara nasce
estemporaneamente sulla strada (Cass. 100/1996, conformi, in precedenza, Cass.
9386/1973, e Cass. 1852/1971, dove la Corte, ad esempio, aveva ritenuto lo
“sfidato” responsabile della morte dello “sfidante”). Limpidamente, in
particolare, la Suprema Corte aveva messo a fuoco come il concorso si determina
non solo “con la partecipazione materiale, ma anche con la determinazione o
induzione, con qualunque mezzo, al comportamento antigiuridico che, nella
ipotesi della gara di velocità, si esprime nella vicendevole sollecitazione
agonistica che ciascun contendente determina negli altri partecipanti” (Cass.
956/1971). Coerentemente, è stata quindi ritenuta corpo del reato l’autovettura
con cui si è anche solo partecipato a una gara di velocità (Trib. Torino,
7.10.2002, Ianora). Ora, un’unica, lieve imperfezione si può forse ravvisare nella
formulazione della nuova normativa, ossia un’apparente diversa strutturazione
delle due ipotesi aggravate, laddove, nel caso di morte, la norma parla di
“morte di una o più persone”, mentre, nel caso di lesioni, la norma contempla
il caso in cui derivi “una lesione personale”. Sembrerebbe quindi che, anche
quando si verifica la morte di più persone, non vada contestato il concorso
formale (o la continuazione), e quindi non si proceda al conseguente aumento di
pena, mentre, quando si verifica il caso di lesioni in pregiudizio di più
persone, a tali istituti si debba invece ricorrere, nella contestazione e nella
configurazione della fattispecie penale. Questa discrasia meramente letterale,
però, appare superabile ricorrendo, in sede di interpretazione, alla eadem
ratio.
* Gip
presso il Tribunale di Forlì
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