(ASAPS) BORDEAUX (FRANCIA) – Sonno e guida, mal si
conciliano, e questo lo sappiamo bene: uno studio francese, condotto su 20mila
soggetti volontari tutti dipendenti del colosso GDF-EDF (gaz de France –
electricité de France) ha però approfondito la questione, e consentito di
raggiungere risultati scientifici di grande pregio. Il lavoro è stato
pubblicato sul prestigioso “British Medical Journal” e noi ne proponiamo qui
una sintesi. A condurre le operazioni, i ricercatori Emmanuel Lagarde
et Hermann Nabi, che hanno lavorato sui volontari dell’associazione Cohorte GAZEL
(dove GAZEL sta appunto per “gaz” ed “electricité”) partendo dalla
considerazione che il rischio di incidenti dovuti al sonno ed alla stanchezza è
elevato, e che non esiste alcun rimedio se non il riposo: al primo segno di
stanchezza, ma anche quando le ore trascorse svegli sono troppo, bisogna
fermarsi. L’argomento non è di facile trattazione, perché incide in
maniera diretta sulla coscienza di ogni patentato, visto che troppi sono i
segnali che ignoriamo o semplicemente sottovalutiamo. da una parte l’automobilista,
che crede di poter dominare l’abbraccio di Morfeo, dall’altra il
professionista, che per una ragione o per l’altra, non se la “sente” di perdere
tempo prezioso. O semplicemente non gli è concesso, dal padrone o dalla
concorrenza. La difficoltà di condurre una ricerca come questa – che è
la stessa, se vogliamo, di chi dovrebbe vigilare sulla strada – è che non
esiste uno strumento per misurare la stanchezza: avessimo un etilometro per
misurare la sonnolenza, saremmo a cavallo, ma così non è. In più il colpo di
sonno come causa di incidente resta un’incognita, un’ipotesi investigativa di
chi ricostruisce la dinamica di un evento, ma di fatto è indimostrabile.
Nemmeno l’autopsia può dirci se un decesso al volante è avvenuto a soggetto
addormentato. Quindi, un lavoro ipotetico, per il quale serviva almeno
la sincerità assoluta degli intervistati, scelti per questo in una cerchia che
già in passato si è distinta per la sua totale abnegazione. La cohorte GAZEL si
è da tempo dedicata alla scienza affidandosi all’INSERM, acronimo di “Institut
National de la Santé et de la Recherche Médicale”. I risultati della ricerca promossa da Emmanuel Lagarde ed
Hermann Nabi sono a dir poco preoccupanrti: oltre un terzo degli intervistati,
infatti, ha rivelato che nel corso dell’anno precedente aveva condotto il
proprio veicolo in condizioni psicofisiche disastrate, con gli occhi che si
chiudevano per sonno e stanchezza. Si tratta in prevalenza di dirigenti della
GDF/EDF, soggetti per la natura della propria professione a spostamenti molto
lunghi, spesso notturni e ben oltre i normali orari di lavoro. I ricercatori
hanno poi rilevato che spesso la sonnolenza è associata al consumo di medicine,
sostanze psicotrope o di alcol. Niente di nuovo, lo sappiamo già: quello che invece ci
mancava, è una soglia di rischio. Secondo Lagarde e Nabi, guidare stanchi
comporta un rischio tre volte maggiore di incorrere in incidenti stradali. “Un
rischio assolutamente evitabile – concludono i ricercatori – perché i
conducenti sono perfettamente in grado di valutare il proprio stato di
sonnolenza”. È dunque necessario far cambiare la testa dei conducenti,
modificarne il senso di responsabilità nei confronti di loro stessi e del
prossimo, e convincerli che il viaggio non dovrebbe riprendere fino a quando
l’attenzione non è tornata totale. Fattore importante ed affatto secondario, la constatazione
che non è solo la patologia legata al sonno ad essere pericolosa, ma anche il
fatto che molte delle cavie “mancano” al riposo quotidiano, e quindi basta una
notte in bianco a mettere in crisi il conducente. E allora, come intervenire? Gli autotrasportatori
subiscono – soprattutto all’estero – controlli molto serrati ed inflessibili
sui tempi di guida. In Italia, purtroppo, gli organi di polizia in grado di
districarsi con sufficiente competenza in materia di cronotachigrafi non sono
molti. A questo si deve aggiungere che vista la scarsità di aree
di parcheggio decentemente attrezzate e di servizi igienici per gli
autotrasportatori, difficilmente i conducenti di veicoli commerciali – alle
prese con concorrenze spietate e sleali – cedono alla tentazione di fermarsi.
Non sfuggono i conducenti di pullman: a Praga, alcuni giorni fa, un autobus si
è schiantato fuori strada facendo 6 morti. I superstiti hanno riferito alla
polizia che l’autista era al volante da molte ore, non aveva ricevuto il cambio
e che alla fine si era addormentato. Senza considerare poi che in alcune zone d’Italia, la
sosta in autostrada o in aree di parcheggio su arterie principali è
rischiosissima, tanto che furti e rapine sono purtroppo una consuetudine. Questo rende il problema politico. In più dobbiamo aggiungere che non esiste un “etilometro”
per la stanchezza: insomma, l’unico modo per convincere qualcuno a non guidare
stanco, è intervenire sulla sua mentalità. Difficile, lo sappiamo, visto che anche in Francia – dove
del problema si parla tantissimo – tutte le campagne di prevenzione non hanno
portato risultati di rilievo e anche il tanto agognato cambio di mentalità non
c’è stato. Secondo i ricercatori dell’INSERM, però, sono almeno 1.000 le
vittime di eventi mortali legati al sonno o alla stanchezza, mentre il numero
dei feriti è compreso tra 10 e 20mila unità. Gli strumenti di repressione sono pochi, ma non possiamo
fare davvero nulla per evitare che qualcuno si addormenti? In effetti no, però
possiamo provare a svegliarlo, installando bande sonore sulla segnaletica
orizzontale, sviluppare la tecnologia che già oggi mette in commercio
sofisticati “svegliatori elettronici” che vigilano sugli occhi del conducente…
oppure invitare chi sta al volante, e non ne può più, a salutari sonni
conciliatori rendendo sicure ed accoglienti le aree di servizio. Fonte scientifica: “Sleepy
driving awareness and traffic accidents: Results from a prospective study in
the GAZEL cohort”, dal “British Medical Journal”. Cronaca: web
Radio Praga. |
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