Giurisprudenza di legittimità Svolgimento
del processo. 1. – Con
sentenza in data 31 gennaio 2002 il Tribunale di Milano dichiarava, in giudizio
abbreviato, G. T. colpevole del delitto di cui all’articolo 589 c.p. perché, in
Milano il 6 febbraio 2001, mentre percorreva la via Bovisasca alla guida di un
furgone Fiat Ducato, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza
nonché per violazione dell’articolo 191, primo comma, del D. L.vo 30 aprile
1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), non tenendo conto del fondo bagnato,
investiva con la parte anteriore destra del veicolo il pedone E. C., che era in
fase di attraversamento, cagionandoli lesioni gravissime dalle quali era
derivato l’immediato decesso. Di conseguenza, lo condannava,
riconosciuta la sussistenza delle circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p. e
della circostanza attenuante dell’integrale risarcimento del danno, ritenute
equivalenti rispetto alla circostanza aggravante contestata, applicata la
diminuente prevista per il rito, alla pena di mesi quattro di reclusione ed
alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di
guida per il periodo di mesi sei. 2. – Proponeva appello il
difensore dell’imputato rilevando che la sentenza di primo grado non aveva
spiegato perché ritenuto il comportamento della vittima concretamente
prevedibile. Afferma il ricorrente che T. stava
procedendo regolarmente sulla destra ed a velocità moderata allorquando era
stato costretto a spostarsi verso il centro della carreggiata a causa di un
autocarro fermo in sosta sulla destra. C., in parte celato dagli arbusti,
era sbucato all’improvviso sulla platea stradale. T., avvedendosi della sua
presenza, aveva immediatamente frenato e mutato la traiettoria del proprio
veicolo con l’intento di evitare l’investimento, ma non aveva conseguito
l’esito sperato. Nessun profilo di colpa era,
ravvisabile nella condotta del T. perché questi non aveva avuto il tempo
necessario per evitare la collisione. In via subordinata, l’appellante
chiedeva ravvisarsi il prevalente concorso di colpa della vittima con conseguente
riduzione della pena inflitta, considerate le circostanze attenuanti prevalenti
su quella aggravante. 3. – Con sentenza in data 23
aprile 2003 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo
grado, condannato l’imputato alle ulteriori spese del giudizio. Affermava la Corte che lo
spartitraffico su cui si trovava il pedone prima di immettersi sulla
semicarreggiata percorsa dal furgone di T. era costituito da un’aiuola di circa
un metro di larghezza sulla quale erano piantate siepi molto rade e ben più
basse dell’altezza di una persona. C., inoltre, aveva con sé
l’ombrello perché pioveva. La presenza del pedone sull’aiuola
spartitraffico era, dunque, non solo perfettamente percepibile anche a notevole
distanza, ma particolarmente allarmante proprio perché si trattava di un’aiuola
in cui per nessun motivo avrebbe potuto trovarsi un pedone, se non per compiere
un incauto attraversamento. Aggiungeva la corte di merito che
il pedone aveva percorso per intero la prima corsia coprendo una distanza di
circa quattro metri. Sommando, dunque, al tempo di
sosta sullo spartitraffico quello occorso all’attraversamento (C. era persona
molto anziana), si doveva necessariamente affermare che T., se fosse stato
prudente ed accorto, avrebbe avuto tutto il tempo di ridurre la velocità del
veicolo e, occorrendo, di fermarlo senza neppure lambire il pedone. Il tragitto percorso e la mancanze
di tracce di frenata dimostravano, inoltre, che il conducente viaggiava a
velocità non moderata e che non aveva messo in atto manovra alcuna per evitare
l’impatto. In ogni caso, tenuto conto delle
condizioni atmosferiche, delle caratteristiche della strada (zona urbana con
limite di velocità), della presenza del pedone sullo spartitraffico, della
vicinanza della zona di attraversamento semaforizzata, T. aveva il preciso
dovere di limitare la velocità fino a fermare il veicolo anche per il solo
«sospetto» che la persona ferma sullo spartitraffico avrebbe potuto
attraversare la strada. 4. – Propone ricorso per
cassazione il difensore dell’imputato, denunciando tre diversi profili di
mancanza o manifesta illogicità della motivazione. 4.1. – La motivazione sarebbe,
anzitutto, manifestamente illogica nella parte in cui afferma che la presenza
del pedone sull’aiuola spartitraffico non solo era perfettamente percepibile
anche a notevole distanza, ma era in sé un fatto allarmante. La stessa Corte afferma – sostiene
il ricorrente – che per nessun motivo su quell’aiuola poteva trovarsi un
pedone. Non si comprende, dunque, perché
avrebbe potuto prevederlo l’imputato, tenuto tra l’altro conto che il passaggio
pedonale era distante trentanove metri. Secondo il ricorrente T. ere
nell’impossibilità di individuare immediatamente il pedone sia per lo stato dei
luoghi, sia per le condizioni atmosferiche (ore 7,25 del mattino di una giornata
invernale e piovosa), sia, infine, perché era stato costretto a spostarsi sulla
sinistra per evitare un autocarro, circostanza quest’ultima completamente
trascurata dalla corte di merito. Errata – secondo il ricorrente –
sarebbe anche la valutazione effettuata dalla Corte in ordine ai tempi di
attraversamento, sommati a quelli di sosta sull’aiuola spartitraffico, atteso
che nulla era dato sapere delle condizioni fisiche del C. e, di conseguenza,
non si poteva escludere che egli avesse tenuto un’andatura «superiore al
normale». 4.2. – La motivazione della
sentenza sarebbe manifestamente illogica – secondo il ricorrente – anche nella
parte in cui afferma che il T. fosse stato prudente e accorto come doveva,
avrebbe avuto tutto il tempo di ridurre la velocità del veicolo e occorrendo
fermarlo senza neppure lambire il pedone. Si tratta, secondo il ricorrente,
di mere congetture. Afferma la Corte che il furgone
sarebbe stato rinvenuto a circa 14 metri di distanza dal punto di impatto con
il pedone e che al suolo non furono rilevate tracce di frenata. Per contro, la posizione del
furgone descritta nella sentenza (parte anteriore inclinata verso destra sulla
semicarreggiata di destra) non sarebbe assolutamente in grado di smentire
secondo cui il veicolo venne spostato dopo il sinistro. Anche dal mancato rinvenimento di
tracce di frenata non potrebbe dedursi che T. viaggiasse a velocità non
moderata e non avesse approntato manovre per evitare l’impatto. Il fondo stradale era, invero,
viscido e quasi mai i veicoli lasciamo tracce di frenata quando l’asfalto è
bagnato. 4.3. – Mancante di motivazione
sarebbe, infine, la sentenza nella parte in cui non disquisisce della gravità
della colpa del pedone, oggetto di specifico motivo d’appello. Trascurando la doglianza, la corte
di merito ha ritenuto impossibile considerare le circostanze attenuanti
prevalenti sull’aggravante, rifacendosi ai precedenti penali dell’imputato. Svolgimento
della decisione. 5. –
i primi due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente trattati
perché pongono in discussione l’affermazione di responsabilità del T., sono
infondati. I giudici dell’appello, all’esito
della valutazione degli elementi acquisiti, hanno ritenuto di attribuire
rilievo nel determinismo causale dell’evento alla velocità tenuta dall’imputato
al momento dell’incidente. Il giudizio espresso sul punto
attiene al mastio dei fatti e non è sindacabile in sede di legittimità perché
frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali, in ordine alla condotta
di guida del ricorrente, ai profili di colpa in essa ravvisati e alla loro
incidenza sotto il profilo causale, del quale è stata data congrua e coerente
giustificazione. La corte di merito ha, invero,
ritenuto, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, che la velocità
tenuta dal T. nella circostanza sia stata eccessiva se rapportata alla
situazione concreta; ad una situazione, cioè, caratterizzata dalle avverse
condizioni atmosferiche, dalle caratteristiche della strada, dalla presenza del
pedone sullo spartitraffico, presenza avvistabile (ed anzi, secondo la sentenza
di prio grado, avvistata dal T. che ebbe spontaneamente a dichiarare,
nell’immediatezza del fatto, di avere notato «un’ombra ferma sul piccolo
spartitraffico che divide le due carreggiate della via Bovisasca»), sia perché
lo spartitraffico era costituito da un’aiuola di circa un metro di larghezza
sulla quale insistevano siepi «molto rade» e, comunque, più basse dell’altezza
di una persona, sia perché C., al momento dell’attraversamento, aveva nelle
mani un ombrello aperto in quanto stava piovendo. Si trattava, a tutta evidenza, di
una situazione che esigeva una particolare prudenza, una condotta che potesse
assicurare al conducente la possibilità di arrestare prontamente la marcia del
veicolo. Ha, dunque, la Corte territoriale
applicato principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità.
Basti ricordare, anzi tutto, che il conducente è tenuto a vigilare al fine di
avvistare il pedone. L’avvistamento del pedone, poi,
implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale
ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in
particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del
veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento. Quanto ai doveri di attenzione del
conducente tesi ad avvistare il pedone, questa Corte ha già avuto modo di
affermare che il conducente deve continuamente ispezionare la strada per
impegnare, mantenendo un costante controllo del veicolo in rapporto alle
condizioni della strada stessa e del traffico e prevedere tutte quelle
situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire
intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (cfr. Cass. IV, 30
gennaio 1991, Del Frate, Rv 187055). Detta affermazione va posta in
correlazione con altre, non meno significative, come quella secondo cui «ad
escludere il carattere repentino ed improvviso dell’attraversamento della
carreggiata da parte di pedoni rileva la loro avvistabilità da parte del
conducente del veicolo che li ha investiti» (Cass. IV, 17 gennaio 1992, Arata)
o quella secondo la quale «nel caso di investimento di un pedone, perché possa
essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la
sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia
trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva
impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti,
attuati in modo rapido e inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione
alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia
riscontrabile nel comportamento del conducente» (Cass. IV, 9 novembre 1990,
Pascali, RV 186076). 6. – Va, invece, accolto il terzo
motivo del ricorso. La corte di appello ha
completamente il devoluto accertamento di un eventuale concorso della persona
offesa alla produzione dell’evento lesivo (e, di riflesso, della sua possibile
incidenza sul giudizio di comparazione tra le opposte circostanze). L’accertamento di eventuali «colpe
concorrenti» è diretto sia a commisurare le sanzioni applicabili all’imputato,
sia determinare la responsabilità del medesimo in vista del risarcimento del
danno (cfr. ex plurimis Cass. IV, 31 gennaio 1989, Conte, RV 181333), sicché
sussiste sempre l’obbligo del giudice del merito di effettuarlo (anche quando
risulti evidente che il sinistro stradale sia stato determinato dalla condotta
colposa dell’imputato: cfr., tra le altre, Cass. IV, 6 novembre 1991,
Bastianello, RV 188726; Cass. IV, 20 novembre 1992, Locatelli), così come
sussiste sempre l’interesse dell’imputato al medesimo. 7. – In conclusione, la sentenza
va annullata limitatamente all’omessa valutazione del concorso di colpa della
persona offesa ed al giudizio di bilanciamento tra le opposte e rinviata per
nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. (Omissis).
[RIV-0605P620] |
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