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Corte di Cassazione 26/07/2006

Giurisprudenza di legittimità - Pedoni – Cautele verso i pedoni – Obbligo di moderare la velocità – Avvistabilità del pedone da parte del conducente del veicolo investitore

(Cass. Penale, sezione IV, 10 novembre 2005, n. 40908)

Giurisprudenza di legittimità
Corte di Cassazione Penale
Sez. IV, 10 novembre 2005, n. 40908

 Pedoni – Cautele verso i pedoni – Obbligo di moderare la velocità – Avvistabilità del pedone da parte del conducente del veicolo investitore.

 In tema di violazione stradale, il conducente di un veicolo è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone, implicando il relativo avvistamento la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale il conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento. Da ciò consegue che, nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la morte, rileva la sua «avvistabilità» da parte del conducente del veicolo investitore. E’ cioè necessario che quest’ultimo si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido ed inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente del veicolo.    

 

Svolgimento del processo. 1. – Con sentenza in data 31 gennaio 2002 il Tribunale di Milano dichiarava, in giudizio abbreviato, G. T. colpevole del delitto di cui all’articolo 589 c.p. perché, in Milano il 6 febbraio 2001, mentre percorreva la via Bovisasca alla guida di un furgone Fiat Ducato, per colpa consistita in imprudenza, imperizia e negligenza nonché per violazione dell’articolo 191, primo comma, del D. L.vo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), non tenendo conto del fondo bagnato, investiva con la parte anteriore destra del veicolo il pedone E. C., che era in fase di attraversamento, cagionandoli lesioni gravissime dalle quali era derivato l’immediato decesso.

Di conseguenza, lo condannava, riconosciuta la sussistenza delle circostanze di cui all’articolo 62-bis c.p. e della circostanza attenuante dell’integrale risarcimento del danno, ritenute equivalenti rispetto alla circostanza aggravante contestata, applicata la diminuente prevista per il rito, alla pena di mesi quattro di reclusione ed alla sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per il periodo di mesi sei.

2. – Proponeva appello il difensore dell’imputato rilevando che la sentenza di primo grado non aveva spiegato perché ritenuto il comportamento della vittima concretamente prevedibile.

Afferma il ricorrente che T. stava procedendo regolarmente sulla destra ed a velocità moderata allorquando era stato costretto a spostarsi verso il centro della carreggiata a causa di un autocarro fermo in sosta sulla destra.

C., in parte celato dagli arbusti, era sbucato all’improvviso sulla platea stradale.

T., avvedendosi della sua presenza, aveva immediatamente frenato e mutato la traiettoria del proprio veicolo con l’intento di evitare l’investimento, ma non aveva conseguito l’esito sperato.

Nessun profilo di colpa era, ravvisabile nella condotta del T. perché questi non aveva avuto il tempo necessario per evitare la collisione.

In via subordinata, l’appellante chiedeva ravvisarsi il prevalente concorso di colpa della vittima con conseguente riduzione della pena inflitta, considerate le circostanze attenuanti prevalenti su quella aggravante.

3. – Con sentenza in data 23 aprile 2003 la Corte di appello di Milano confermava la sentenza di primo grado, condannato l’imputato alle ulteriori spese del giudizio.

Affermava la Corte che lo spartitraffico su cui si trovava il pedone prima di immettersi sulla semicarreggiata percorsa dal furgone di T. era costituito da un’aiuola di circa un metro di larghezza sulla quale erano piantate siepi molto rade e ben più basse dell’altezza di una persona.

C., inoltre, aveva con sé l’ombrello perché pioveva.

La presenza del pedone sull’aiuola spartitraffico era, dunque, non solo perfettamente percepibile anche a notevole distanza, ma particolarmente allarmante proprio perché si trattava di un’aiuola in cui per nessun motivo avrebbe potuto trovarsi un pedone, se non per compiere un incauto attraversamento.

Aggiungeva la corte di merito che il pedone aveva percorso per intero la prima corsia coprendo una distanza di circa quattro metri.

Sommando, dunque, al tempo di sosta sullo spartitraffico quello occorso all’attraversamento (C. era persona molto anziana), si doveva necessariamente affermare che T., se fosse stato prudente ed accorto, avrebbe avuto tutto il tempo di ridurre la velocità del veicolo e, occorrendo, di fermarlo senza neppure lambire il pedone.

Il tragitto percorso e la mancanze di tracce di frenata dimostravano, inoltre, che il conducente viaggiava a velocità non moderata e che non aveva messo in atto manovra alcuna per evitare l’impatto.

In ogni caso, tenuto conto delle condizioni atmosferiche, delle caratteristiche della strada (zona urbana con limite di velocità), della presenza del pedone sullo spartitraffico, della vicinanza della zona di attraversamento semaforizzata, T. aveva il preciso dovere di limitare la velocità fino a fermare il veicolo anche per il solo «sospetto» che la persona ferma sullo spartitraffico avrebbe potuto attraversare la strada.

4. – Propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, denunciando tre diversi profili di mancanza o manifesta illogicità della motivazione.

4.1. – La motivazione sarebbe, anzitutto, manifestamente illogica nella parte in cui afferma che la presenza del pedone sull’aiuola spartitraffico non solo era perfettamente percepibile anche a notevole distanza, ma era in sé un fatto allarmante.

La stessa Corte afferma – sostiene il ricorrente – che per nessun motivo su quell’aiuola poteva trovarsi un pedone.

Non si comprende, dunque, perché avrebbe potuto prevederlo l’imputato, tenuto tra l’altro conto che il passaggio pedonale era distante trentanove metri.

Secondo il ricorrente T. ere nell’impossibilità di individuare immediatamente il pedone sia per lo stato dei luoghi, sia per le condizioni atmosferiche (ore 7,25 del mattino di una giornata invernale e piovosa), sia, infine, perché era stato costretto a spostarsi sulla sinistra per evitare un autocarro, circostanza quest’ultima completamente trascurata dalla corte di merito.

Errata – secondo il ricorrente – sarebbe anche la valutazione effettuata dalla Corte in ordine ai tempi di attraversamento, sommati a quelli di sosta sull’aiuola spartitraffico, atteso che nulla era dato sapere delle condizioni fisiche del C. e, di conseguenza, non si poteva escludere che egli avesse tenuto un’andatura «superiore al normale».

4.2. – La motivazione della sentenza sarebbe manifestamente illogica – secondo il ricorrente – anche nella parte in cui afferma che il T. fosse stato prudente e accorto come doveva, avrebbe avuto tutto il tempo di ridurre la velocità del veicolo e occorrendo fermarlo senza neppure lambire il pedone.

Si tratta, secondo il ricorrente, di mere congetture.

Afferma la Corte che il furgone sarebbe stato rinvenuto a circa 14 metri di distanza dal punto di impatto con il pedone e che al suolo non furono rilevate tracce di frenata.

Per contro, la posizione del furgone descritta nella sentenza (parte anteriore inclinata verso destra sulla semicarreggiata di destra) non sarebbe assolutamente in grado di smentire secondo cui il veicolo venne spostato dopo il sinistro.

Anche dal mancato rinvenimento di tracce di frenata non potrebbe dedursi che T. viaggiasse a velocità non moderata e non avesse approntato manovre per evitare l’impatto.

Il fondo stradale era, invero, viscido e quasi mai i veicoli lasciamo tracce di frenata quando l’asfalto è bagnato.

4.3. – Mancante di motivazione sarebbe, infine, la sentenza nella parte in cui non disquisisce della gravità della colpa del pedone, oggetto di specifico motivo d’appello.

Trascurando la doglianza, la corte di merito ha ritenuto impossibile considerare le circostanze attenuanti prevalenti sull’aggravante, rifacendosi ai precedenti penali dell’imputato.

 

Svolgimento della decisione. 5. – i primi due motivi di ricorso, che possono essere congiuntamente trattati perché pongono in discussione l’affermazione di responsabilità del T., sono infondati.

I giudici dell’appello, all’esito della valutazione degli elementi acquisiti, hanno ritenuto di attribuire rilievo nel determinismo causale dell’evento alla velocità tenuta dall’imputato al momento dell’incidente.

Il giudizio espresso sul punto attiene al mastio dei fatti e non è sindacabile in sede di legittimità perché frutto di un apprezzamento delle emergenze processuali, in ordine alla condotta di guida del ricorrente, ai profili di colpa in essa ravvisati e alla loro incidenza sotto il profilo causale, del quale è stata data congrua e coerente giustificazione.

La corte di merito ha, invero, ritenuto, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici, che la velocità tenuta dal T. nella circostanza sia stata eccessiva se rapportata alla situazione concreta; ad una situazione, cioè, caratterizzata dalle avverse condizioni atmosferiche, dalle caratteristiche della strada, dalla presenza del pedone sullo spartitraffico, presenza avvistabile (ed anzi, secondo la sentenza di prio grado, avvistata dal T. che ebbe spontaneamente a dichiarare, nell’immediatezza del fatto, di avere notato «un’ombra ferma sul piccolo spartitraffico che divide le due carreggiate della via Bovisasca»), sia perché lo spartitraffico era costituito da un’aiuola di circa un metro di larghezza sulla quale insistevano siepi «molto rade» e, comunque, più basse dell’altezza di una persona, sia perché C., al momento dell’attraversamento, aveva nelle mani un ombrello aperto in quanto stava piovendo.

Si trattava, a tutta evidenza, di una situazione che esigeva una particolare prudenza, una condotta che potesse assicurare al conducente la possibilità di arrestare prontamente la marcia del veicolo.

Ha, dunque, la Corte territoriale applicato principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità. Basti ricordare, anzi tutto, che il conducente è tenuto a vigilare al fine di avvistare il pedone.

L’avvistamento del pedone, poi, implica la percezione di una situazione di pericolo, in presenza della quale ogni conducente è tenuto a porre in essere una serie di accorgimenti (in particolare, moderare la velocità e, all’occorrenza, arrestare la marcia del veicolo) al fine di prevenire il rischio di un investimento.

Quanto ai doveri di attenzione del conducente tesi ad avvistare il pedone, questa Corte ha già avuto modo di affermare che il conducente deve continuamente ispezionare la strada per impegnare, mantenendo un costante controllo del veicolo in rapporto alle condizioni della strada stessa e del traffico e prevedere tutte quelle situazioni che la comune esperienza comprende, in modo da non costituire intralcio o pericolo per gli altri utenti della strada (cfr. Cass. IV, 30 gennaio 1991, Del Frate, Rv 187055).

Detta affermazione va posta in correlazione con altre, non meno significative, come quella secondo cui «ad escludere il carattere repentino ed improvviso dell’attraversamento della carreggiata da parte di pedoni rileva la loro avvistabilità da parte del conducente del veicolo che li ha investiti» (Cass. IV, 17 gennaio 1992, Arata) o quella secondo la quale «nel caso di investimento di un pedone, perché possa essere affermata la colpa esclusiva di costui per le lesioni subite o per la sua morte, è necessario che il conducente del veicolo investitore si sia trovato, per motivi estranei ad ogni suo obbligo di diligenza, nella oggettiva impossibilità di avvistare il pedone e di osservarne tempestivamente i movimenti, attuati in modo rapido e inatteso; occorre, inoltre, che nessuna infrazione alle norme della circolazione stradale ed a quelle di comune prudenza sia riscontrabile nel comportamento del conducente» (Cass. IV, 9 novembre 1990, Pascali, RV 186076).

6. – Va, invece, accolto il terzo motivo del ricorso.

La corte di appello ha completamente il devoluto accertamento di un eventuale concorso della persona offesa alla produzione dell’evento lesivo (e, di riflesso, della sua possibile incidenza sul giudizio di comparazione tra le opposte circostanze).

L’accertamento di eventuali «colpe concorrenti» è diretto sia a commisurare le sanzioni applicabili all’imputato, sia determinare la responsabilità del medesimo in vista del risarcimento del danno (cfr. ex plurimis Cass. IV, 31 gennaio 1989, Conte, RV 181333), sicché sussiste sempre l’obbligo del giudice del merito di effettuarlo (anche quando risulti evidente che il sinistro stradale sia stato determinato dalla condotta colposa dell’imputato: cfr., tra le altre, Cass. IV, 6 novembre 1991, Bastianello, RV 188726; Cass. IV, 20 novembre 1992, Locatelli), così come sussiste sempre l’interesse dell’imputato al medesimo.

7. – In conclusione, la sentenza va annullata limitatamente all’omessa valutazione del concorso di colpa della persona offesa ed al giudizio di bilanciamento tra le opposte e rinviata per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Milano. (Omissis). [RIV-0605P620]


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Mercoledì, 26 Luglio 2006
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