Rapine ai portavalori
"Evitato il conflitto a fuoco
L'amarezza di Giordano Biserni, presidente dell'Asaps
Intervista a il Resto del Carlino di Cesena
Assalto al portavalori, Biserni: "Poteva essere una strage"
L’amarezza di Giordano Biserni, presidente dell’Asaps
Cesena, 18 maggio 2016 - Assaltare portavalori è un mestiere: mesi di preparazione, pochi minuti di terrore e poi la fuga, col bottino in una mano e le armi fumanti nell’altra. Un mestiere che richiede una specializzazione altissima, a livello paramilitare e contro il quale è molto difficile competere, sia in termini di numero di uomini, che di dotazioni tecniche.
Giordano Biserni, presidente dell’Asaps, Associazione dei Sostenitori e degli Amici della Polizia Stradale, come si reagisce ad aggressioni d questo genere?
«Introduco il problema con un paio di numeri: dal 2001 al 2013 in Italia si sono verificati 350 assalti a portavalori, che hanno fruttato un bottino complessivo di 89 milioni di euro. E il trend è in crescita. Detto questo, lancio una provocazione».
Quale?
«E’ meglio che la polizia non sia arrivata in tempo. Pensate a cosa sarebbe potuto succedere in caso contrario: una pattuglia con due uomini a bordo di una vettura che non è blindata e che possono contare solo su armi che non sono nemmeno lontanamente paragonabili a quelle degli assalitori, superiori per numero, per mezzi e, con ogni probabilità, anche per competenze specifiche. Non c’è gara: in caso di conflitto a fuoco, a quest’ora saremmo qui a piangere due vite spezzate».
Dunque non ci sono rimedi?
«I rimedi ci sono, ma per attuarli sono necessari diversi investimenti in un settore che invece da anni è soggetto a continui tagli ai bilanci. Parto col dire che le pattuglie dovrebbero essere potenziate. Ne servirebbe almeno una ogni venti chilometri di strada, mentre oggi la distanza coperta da una macchina è doppia, in entrambi i sensi di marcia. Ad oggi la soluzione più efficace è quella di inviare un elicottero in zona, mettere pressione agli assalitori e costringerli a desistere dal loro colpo».
Lei ha trascorso molti anni al lavoro sulle autostrade, come vengono preparati agguati di questo genere?
«Innanzitutto conoscendo alla perfezione il territorio. L’A14 è il tratto autostradale più colpito, il che significa che probabilmente ci sono delle ‘basi’ da queste parti. Servono mesi prima di entrare in azione: ogni dettaglio viene esaminato. Si valutano le vie di fuga, i passaggi di corsia e pure gli orari dei cambi di turno delle pattuglie. Che quindi andrebbero almeno sfalsati».
E riguardo alle armi?
«L’addestramento è da corpo militare. Si sparano tanti colpi, ma mai a caso. Servono a terrorizzare, non a uccidere. Non per rispetto nei confronti di innocenti, semplicemente per mera utilità».
Cosa intende?
«Si risolve tutto con una questione di costi e benefici. I portavalori contengono tantissimi soldi, milioni di euro. Puoi arricchirti e in cambio cosa rischi? Se nessuno muore, qualche anno di carcere». Ammesso che i responsabili vengano identificati.
«Su questo, il quadro è diverso: i metodi di indagini delle forze dell’ordine sono efficaci e di indizi dai quali partire se ne trovano sempre. Nella maggior parte dei casi i responsabili finiscono in manette. Però un mestiere, una volta che lo hai imparato, non lo dimentichi più: quando esci dal carcere spesso ricominci. Nel settore degli assalti ai portavalori i recidivi sono tanti».
Intervista che parla chiaro su un fenomeno sempre più preoccupante. (ASAPS)