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www.

asaps

.it

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di Lorenzo Savastano*

ma, estensivamente, il compimento di

“atti diretti in modo non

equivoco alla commercializzazione

” degli stessi. La formulazione

aperta del reato, senza qualificazione dell’elemento soggettivo,

segna una sostanziale differenza rispetto ai reati contraffattivi

di cui agli artt. 473 (

“Contraffazione, alterazione o uso di

segni distintivi di opere dell'ingegno o di prodotti industriali”

)

e 474 (

“Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con

segni falsi”

) del codice penale. Come noto, difatti, tali reati

rispettivamente sanzionano le condotte commissive di:

a. contraffazione o alterazione di marchi nazionale ed

esteri di prodotti in Italia, nonché l’utilizzo e, naturalmente,

l’introduzione nel territorio dello Stato di tali marchi

3

; ovvero

b. detenzione per la vendita, messa in vendita o in circolazione

dei prodotti

4

.

In particolare, l’ultima tipologia di condotta (sanzionata

dall’art. 474 c.p.), al fine dell’integrazione dell’illecito, deve

accompagnarsi

apertis verbis

al dolo specifico di “

trarne

profitto

”. La mancata precisazione dell’elemento soggettivo

anche nell’illecito a tutela del

made in

, si traduce in un

arretramento della soglia di rilevanza penale, che considera

configurato l’illecito

de quo

anche in presenza di un mero

dolo generico.

Il compimento di

atti diretti in modo non equivoco alla

commercializzazione

apre, come evidente, un ventaglio

molto vasto di ipotesi operative. Potrebbe questo essere il

caso, ad esempio, di un operatore di polizia che – durante un

controllo stradale – rinvenga un considerevole quantitativo

di merce recante false o fallaci indicazioni

made in Italy

,

tali da far lecitamente presumere una destinazione a terzi

dei prodotti. Tale deduzione, si lasci osservare, potrebbe

essere efficacemente corroborata dalla titolarità, da parte

del soggetto sottoposto a controllo, di una partita IVA, con

la quale eserciti attività di commercializzazione di prodotti

di consumo

5

.

La sanzione prevista, in tali casi, è quella dell’art. 517 del

codice penale, che prevede la reclusione fino a due anni o

la multa fino a 20.000 euro per

“chiunque pone in vendita,

o mette altrimenti in circolazione opere dell’ingegno o segni

distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore

sull’origine, provenienza o qualità dell’opera o del prodotto

(…)”

. Solare, quantomeno proceduralmente, la differenza

(come corollario investigativo) con i citati reati contraffattivi

di cui agli articoli 473 e 474 del codice penale, per la cui

repressione è previsto l’utilizzo del penetrante strumento

delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni

6

.

In riferimento al

tempus commissi delicti

del reato, infine, la

medesima disposizione specifica che le fattispecie de

quibus

sono integrate

“sin dalla presentazione dei prodotti o dellemerci

in dogana per l’immissione in consumo o in libera pratica

:

ben prima, dunque, della commercializzazione sul territorio

e a prescindere da essa. Come evincibile dalla normativa di

riferimento, infatti, è corpo del reato anche il prodotto ancora

vincolato al regime doganale

di immissione in libera pratica

7

,

ovvero il prodotto che pur avendo assolto misure di politica

commerciale ed altri dazi comunitari legalmente dovuti

(necessari per l’acquisizione della posizione doganale di

merce comunitaria

), ma non abbia ancora scontato le imposte

nazionali (pregiudiziali all’immissione in consumo tout court).

Operativamente, nel corso di un controllo documentale su

strada, tale posizione doganale è rappresentata con il codice

“42” all’interno della casella nr. 37 del DAU (

Documento

Amministrativo Unico

)

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, che scorterà in tutto

l’iter

sul territorio

della UE, la partita di merce fino al suo svincolo definitivo

presso la dogana di destinazione.

3. Falsa e fallace indicazione: questione di immagine

In riferimento al corpo del reato, l’illecito si considera integrato

qualora siano presenti sul prodotto, indifferentemente:

• “

false indicazioni

”, ovvero la stampigliatura “

Made in Italy

su merci e prodotti non originari dell’Italia ai sensi della

normativa comunitaria sull’origine;

• “

fallaci indicazioni

”, intendendosi per esse la gamma di

segni, simboli, figure o

quant’altro

possa indurre a ritenere che

il prodotto o la merce sia di origine italiana,

“anche qualora

sia indicata l’origine e a provenienza estera dei prodotti

o delle merci”

. Integra ugualmente il reato l’uso fallace o

fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle

pratiche commerciali ingannevoli e salvo quanto previsto dal

successivo comma 49 bis, in riferimento all’uso del marchio

da parte del titolare o licenziatario

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.

La nozione di

“fallace indicazione

” è stata oggetto di

approfondimento da parte del giudice di Nomofilachia che,

a più riprese, ha argomentato come la stessa sussista ogni

qualvolta la merce presenti

caratteristiche, intrinseche od

estrinseche, potenzialmente ingannatrici per il consumatore

finale

10

. Più in dettaglio, ci sembra di poter compendiare

gli indirizzi espressi dal giudice di legittimità in due canoni

fondamentali ai fini della valutazione dell’aderenza o meno

del prodotto alla (seppur) stringente normativa del

“made in

Italy

”, ovvero:

a) la prevalenza dell’origine imprenditoriale del prodotto

su quella

materiale

;

b) la preferenza per un criterio sostanziale nella tutela del

consumatore.

In riferimento al primo criterio, la giurisprudenza di legittimità

italiana ha da tempo chiarito che la locuzione

“origine

imprenditoriale del prodotto”

è non solo una nozione più ampia

di

“origine geografica”

, ma che –

ex necessitate rei

– la stessa

implica la nitida riconducibilità del manufatto industriale ad un

Attualità

MADE IN ITALY:

UNA TUTELA 100% ITALIANA

1. Il

brand

Italia: restare i primi della classe.

La parola

brand

ha un etimo germanico. Nel suo significato originale vuol dire “

tizzone ardente

”, esattamente come i

marchi che “

a fuoco

” venivano impressi sui capi di bestiame per consentirne il riconoscimento. Il richiamo alla lucentezza

del fuoco, col tempo, ha traslato il significato della parola che è stata, in seguito, usata anche per indicare lo scintillio delle

sciabole sguainate (da cui il termine “

brandire

” e “

brando

”, sinonimo di spada). Quasi come se descrivesse una strategia

normativa, la metamorfosi della parola brand suggerisce al suo interno due componenti essenziali, che vedremo nella

tutela del

made in Italy

: la riconoscibilità di una merce o un prodotto, che

indelebilmente

ed

esclusivamente

appartiene

a chi lo ha realizzato, e la necessità di brandire le armi della migliore tutela normativa possibile. Tutto questo, al fine di

garantire un sistema di giustizia sociale che non sia solo effettivo, ma soprattutto efficace, e di cui ogni operatore di polizia

è direttamente investito.

L’obiettivo del presente intervento è, allora, esattamente questo: fornire una guida rapida e pragmatica agli operatori di

polizia impegnati quotidie sul territorio, a difesa dei cittadini in generale, e dell’imprenditoria onesta in particolare.

2. La tutela del

made in Italy

: griglia d’analisi

Sul tema della tutela del

made in Italy

lo

starting point

normativo è il comma 49, art. 4, della Legge 350/2003 (Finanziaria

2004

)1

, che recita:

“L'importazione e l'esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la

commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di

provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell'articolo 517 del codice penale”

2

. La costruzione della

fattispecie del reato è peculiare e merita qualche considerazione utile per gli operatori di polizia.

Anzitutto: la

condotta

. A rilevare – infatti – non è solo l’importazione, l’esportazione o la commercializzazione dei prodotti

La produzione industriale e commerciale italiana, stimata in

tutto il mondo, è sempre più un volano di crescita strategico

per l’intero sistema-paese. La sua tutela è, allora, un

compito primario di tutte le forze di polizia impegnate sul

territorio, a salvaguardia dell’imprenditoria onesta