Background Image
Previous Page  12-13 / 68 Next Page
Information
Show Menu
Previous Page 12-13 / 68 Next Page
Page Background

10

www.

asaps

.it

www.

asaps

.it

11

ben preciso e (pre)determinato

milieu

aziendale, connotato

da modalità di produzione, requisiti qualitativi e strategie di

distribuzione conosciute dal consumatore, alle quali egli si

affida nella determinazione della sua volontà economica

(

viz

. l’atto di acquisto)

11

.

Non solo: la Corte di Cassazione, in significativi e numerosi

frangenti della sua produzione, ha esacerbato l’impostazione

testé compendiata arrivando a considerare anche l’ “

ambiente

naturale circostante

”, il “

trattamento

”, le “

condizioni di lavoro

e le “

tutele offerte

” ai lavoratori, delle variabili strutturanti la

scelta economica dell’acquirente, configurando così una

sorta di diritto al consumo etico e consapevole

12

.

Ancora, inmeritoal secondocriteriodesumibiledall’orientamento

della Suprema Corte, è cristallino come la tutela del “

made

in Italy”

, in un momento storico caratterizzato da un avvilente

affanno del mercato di qualità, abbia assunto tinte decisamente

sostanzialistiche, trascurando scaltri e subdoli aggiramenti

della normativa di settore, per lo più perpetrati mediante

precisazioni sull’origine inserite su parti difficilmente visibili dei

manufatti o, addirittura, esterne agli stessi

(e.g. depliànt

, fogli

promozionali, libretti di istruzione

et simila

). Tale considerazione

pare abbia animato anche la

voluntas legislatoris

nel momento

in cui ha deciso – chirurgicamente – di inserire nel corpo del

quarantanovesimo comma dell’art. 4 della Legge Finanziaria

per il 2004, l’inciso che statuisce che è da ritenersi integrata

una

fallace indicazione

(rilevante ai fini della normativa “

made

in Italy

”) anche qualora sia indicata l’origine o la provenienza

delle merci

13.

Per ultimare l’analisi della disposizione, occorre evidenziare,

infine, che lo stesso 49esimo comma del citato articolo della

Finanziaria 2004, prevede la regolarizzazione amministrativa

delle condotte, distinguendo in base all’apposizione sul

prodotto di:

a. una

fallace indicazione

delle merci, che può essere

sanata sul piano amministrativo con l’asportazione a cura

ed a spese del contravventore dei segni o delle figure o di

quant’altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di

origine italiana;

b. una

falsa indicazione

sull’origine o sulla provenienza di

prodotti o merci, che invece può essere sanata sul piano

amministrativo attraverso l’esatta indicazione dell’origine o

l’asportazione della stampigliatura “

made in Italy

”.

4. Le novità del DL 135/2009: ulteriori tipologie di tutela

Ad arricchire la strategia di tutela della produzione commerciale

ed industriale nazionale è intervenuto il D.L. 135/2009

14

che,

schematicamente, ha introdotto ulteriori due fattispecie rilevanti:

a. l’uso del marchio

fallace

da parte del titolare o licenziatario

dellostesso (art. 4, comma49bischeconfigura, dogmaticamente,

dunque, un reato proprio), non accompagnato da indicazioni

di provenienza sufficienti e precise. In tal caso, al reato si

associa la sanzione amministrativa pecuniaria16 da 10.000

a 250.000 euro e la confisca amministrativa obbligatoria del

prodotto (salvo, precisa il comma 49

ter

, l’apposizione delle

indicazioni di origine a cura e spese del titolare del marchio

sul prodotto o sulla confezione o sui relativi documenti di

corredo);

b. la tutela dei prodotti “

interamente italiani

(disciplinati dall’ art.

16 del D.L. 135/2009). Per tali prodotti si intende un manufatto

“realizzato interamente in Italia (…), classificabile come made

in Italy ai sensi della normativa vigente, e per il quale il disegno,

la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono

compiuti esclusivamente sul territorio italiano”

(comma 1). In

tali casi

“Chiunque fa uso di un’indicazione di vendita che

presenti il prodotto come interamente realizzato in Italia,

quale “100% made in Italy”, “100% Italia”, “tutto italiano”, in

qualunque lingua espressa, o altra che sia analogamente

idonea ad ingenerare nel consumatore la convinzione della

realizzazione interamente in Italia del prodotto, ovvero segni

o figure che inducano la medesima fallace convinzione, al

di fuori dei presupposti previsti nei commi 1 e 2, è punito,

ferme restando le diverse sanzioni applicabili sulla base

della normativa vigente, con le pene previste dall’art. 517 del

codice penale, aumentate di un terzo”

(comma 4).

In merito alle procedure di verbalizzazione amministrative,

occorre precisare che – al di fuori delle zone di vigilanza

doganale, dove sopravvive la competenza dell’Agenzia delle

Dogane e dei Monopoli – l'art. 43 del D.L. 22 giugno 2012,

n. 83 ha disposto il trasferimento del potere sanzionatorio

in materia di

Made in Italy

alle Camere di Commercio,

sottraendola al Ministero per lo Sviluppo Economico (Mi.S.E.),

mediante l’aggiunta del comma 49-

quater

all'art. 4 della L.

24 dicembre 2003, n. 350. Tale norma stabilisce che

“Le

Camere di commercio industria artigianato ed agricoltura

territorialmente competenti ricevono il rapporto di cui all'articolo

17 della legge 24 novembre 1981, n. 689, ai fini dell'irrogazione

delle sanzioni pecuniarie amministrative di cui al precedente

comma 49-bis”

16

.

5. L’importanza di chiamarsi “Italia”

In un recente rapporto dal suggestivo titolo “I.T.A.L.I.A.

Note

1

Legge 24 dicembre 2003, n. 350, recante: “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato”, il cui art.

4 è rubricato “Finanziamento agli investimenti”.

2

Attualmente, l’art. 517 del codice penale, prevede una pena che varia dalla reclusione fino ai due anni alla multa fino ai 20.000 euro.

3

Reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.500 a euro 25.000, o reclusione da uno a quattro anni e della multa da

euro 3.500 a euro 35.000, qualora il reato riguardi brevetti, disegni o modelli industriali nazionali o esteri.

4

In quest’ultimo caso, l’introduzione in Italia di prodotti contraffatti deve essere accompagnata dal dolo specifico di trarne profitto (v. ultra).

5

Tale circostanza potrebbe essere agevolmente verificata mediante mirate interrogazioni alle banche dati in uso all’Amministrazione

finanziaria (ad es. la banca dati dell’Agenzia delle Entrate “Serpico”).

6

Essendo tali reati espressamente elencati all’art. 266, comma 1, lett. f-ter) del codice di procedura penale.

7

Cfr. Art. 5, punto 16 del Reg. (UE) 952/2013 (Codice doganale dell’Unione); art. 4, punto 16 - artt. 79/83 del Reg. (CEE) 2913/1992

(Codice Doganale Comunitario); artt. 218, 225, 230, 237 del Reg. (CEE) 2454/93 (Disposizioni d’applicazione del Codice Doganale

Comunitario).

8

Il Documento Amministrativo Unico (DAU) è un formulario avente precise caratteristiche previste dalla normativa comunitaria. Esso

costituisce di per sé la dichiarazione doganale, per tutti i regimi doganali e le destinazioni doganali utilizzati dagli operatori. La sua

applicazione è stata disciplinata dal Reg. Cee 2454/93, che reca modalità di applicazione del Codice Doganale Comunitario (Reg.

CE 952/13)

9

Sul punto, si rimanda a quanto verrà a breve detto sulle importanti novità in materia, introdotte dal D.L. 135/2009.

10

Ex pluribus: Sentt. Cass. n. 3352/2005 (FRO); 13712/2005 (IGAM); 2648/2006 (TASCI); 3669/2006 (MODA LISA); 21797/2006

(VIDIVICI); 24043/2006 (B&D); 8684/2007 (ITALIAN DESIGN); 35720/2007 (FILA); 166/2008 (GRIFFE MONTENAPOLEONE);

2466/2008 (CILLIGARIS); 27063/2008 (SYNERGIE GROUP).

11

Su tutte: Sentt. Cass. n. 3352/2005 (FRO) e 34103/2005 (IGAM). In ambedue i casi, la Cassazione, soffermandosi sulla nozione di

fallace indicazione, ha ribadito il principio per cui, in genere, relativamente ai prodotti industriali, la cui qualità dipende dalla affidabilità

tecnica del produttore, per origine o provenienza del prodotto deve intendersi la sua origine imprenditoriale, cioè la sua fabbricazione

da parte di un imprenditore che assume la responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo produttivo.

12

Su tutti: Tribunale di Varese del 31/1/2006, che expressis verbis ha sancito che: “la più recente scelta legislativa esplicita, intesa

ad imporre una corretta e veritiera informazione anche sulla materialità della produzione, tutela inoltre l’interesse, di sicuro rilievo

sociale, del cittadino ad esercitare un vaglio critico – nelle proprie opzioni di consumo – anche in funzione delle scelte di strategia

aziendale produttiva adottate dall’imprenditore, attribuendosi rilievo non insignificante – dal punto di vista del giudizio che ciascuno

è chiamato a formulare sul prodotto finale – al luogo della produzione ed alle, spesso connesse, condizioni materiali di impiego dei

fattori produttivi con cui è stato realizzato, e quindi ad esempio, a valutare gli effetti della produzione sull’ambiente naturale circostante

oppure il trattamento, le condizioni di lavoro e le tutele offerte alle persone impiegate nella produzione”.

13

Cfr. art. 4, l. 350/2003: “49. (…) costituisce fallace indicazione, anche qualora sia indicata l'origine e la provenienza estera dei prodotti

o delle merci, l'uso di segni, figure, o quant'altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana

incluso l'uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli (…)”.

14

Decreto Legge n. 135 del 25 settembre 2009, recante: “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione

di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”, il cui art. 16 è rubricato “Made in Italy e prodotti interamente italiani”.

15

Sul doppio binario sanzionatorio si sono espresse, da ultimo, le Sentt. Cass., III Sez., n. 54521/2016; Cass., IV Sez., n. 25030/2017;

Cass., III Sez., n. 21256/2016.

16

Le modalità applicative dell'art. 4, comma 49-bis della integrata L. n. 350/2003 sono fissate dalla circolare esplicativa del MISE n.

124898 del 9 novembre 2009 e nella nota n. del 6 agosto 2012, prot. 173529.

17

Reperibile sul sito della fondazione SYMBOLA:

http://www.symbola.net.

geografie del nuovo

made in Italy

2017”

17

, realizzato dalla fondazione

Symbola

in collaborazione con UnionCamere, è

riportato un sondaggio Ipsos in cui si attesta che, tra 19 Paesi intervistati, il

brand

Italia è il terzo più riconosciuto al mondo,

subito dopo il blocco anglo-americano di Stati Uniti e Regno Unito. Drivers del successo italiano sono, prima di tutto, la

percezione della

qualità di vita

(per la quale il Bel Paese si posiziona al primo posto, seguito da Canada ed Australia) e,

soprattutto, la

creatività e l’inventiva

(primo posto, davanti a Stati Uniti e Giappone).

Non si tratta solo di “

podi virtuali

”, il sistema

made in Italy

ha, infatti, consentito alla bilancia commerciale italiana di

toccare, nel solo 2016, un nuovo

surplus record

con l’estero, raggiungendo i 51,6 miliardi di euro. Si tratta del quinto

surplus

commerciale manifatturiero al mondo: 90,5 miliardi di euro, dietro potenze come Cina, Germania, Corea del Sud e Giappone.

Basterebbero queste rapide pennellate per capire quanto la tutela della produzione commerciale ed industriale nazionale

rappresenti un

bene comune

baricentrico per il sistema-paese. Un

asset

cruciale quanto vulnerabile, che il legislatore ha

cercato nel tempo di guarnire con i presidi normativi agili, flessibili e (soprattutto) dissuasivi che abbiamo esaminato.

Armi che il diritto positivo ha forgiato, ma che spetta agli operatori di polizia

brandire

con impegno e professionalità.

*Capitano della Guardia di Finanza

savastano.lorenzo@gdf.it