di Ugo Terracciano*
Attualità
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e c'è un compito ingrato, tra i tanti che competono all'operatore di polizia, quello di comunicare la morte in un
sinistro stradale di una persona ai suoi cari è forse il peggiore. La comunicazione del lutto segna una profonda
frattura nella storia di vita dei sopravvissuti: genitori, fratelli o coniugi che siano, ricevuta la notizia e realizzata
la perdita, tracceranno un solco esistenziale tra il prima e il dopo condizionando ciò che resta da vivere.
Ma anche se solo un po', sia pure in modo subliminare, nemmeno per l'operatore sarà tutto come prima:
certo l'emozione negativa passa, ma ogni sofferenza a cui si assiste crea empatia ed esserne il messaggero
crea una impercettibile incrinatura nella psiche. Insomma, per dirla con Gabriele Prati, del Dipartimento di
Psicologia dell'Università di Bologna, che su questi temi ha condotto una approfondita ricerca, gli effetti della
comunicazione del decesso si ripercuotono anche sull’operatore.
Lo dimostra, per esempio uno studio (Bartone, Ursano, Wright e Ingraham, 1989) condotto in ambito militare tenendo
sotto osservazione il personale preposto a parlare con i familiari dei deceduti (ad esempio, nei con itti): è stato rilevato
che coloro che erano stati esposti al dolore acuto dei familiari riportavano umore depresso, la diminuzione del senso del
benessere e sintomi somatici. Certo, il temperamento dell'operatore influisce e infatti gli effetti negativi della noti ca sono
risultati moderati da alcuni tratti di personalità del militare (ad esempio, resilienza disposizionale) e dal suo sostegno sociale.
Gli studi sugli operatori di polizia invece, con buona pace di quelli del professor Prati, sono scarsi in letteratura sebbene
gli agenti siano impegnati in una guerra (civile) che uccide più di tremila volte all'anno, cioè più di otto volte al giorno.
Tremila messaggi di morte a genitori o familiari che proprio davanti agli agenti vengono trafitti da un contagioso brivido di
disperazione che gela anche chi non ha potuto fare a meno di comunicare la notizia.
L’organizzazione statunitense MADD (Madri Contro la Guida in Stato di Ebbrezza), di fronte all'evidente carenza anche negli
States
di una specifica attenzione ai riflessi psicologici della comunicazione del decesso sugli agenti, ha sviluppato con un
certo successo nell'anno 2000 dei programmi formativi basati sullo studio di casi e sulla letteratura empirica in materia. Del
resto – le madri americane lo avevano capito - svolgere un compito estremamente dif cile come la comunicazione del decesso
senza una precedente formazione può far sentire l’operatore indifeso e impreparato. Viceversa la formazione aiuta gli operatori
a rispondere ef cacemente alle situazioni
particolarmente dif cili, a rendere la
comunicazione del decesso un compito
meno stressante nel breve termine e a
ridurre il
burnout
a carico del personale
incaricato di simili tristi incombenze.
Inoltre, la comunicazione eseguita con
professionalità e sensibilità può evitare nei
familiari una seconda traumatizzazione
legata al modo nel quale apprendono
la notizia. Questo perché il compito di
notificare ai familiari la morte del proprio
congiunto non è mai circoscritto ai soli
aspetti comunicativi, ma coinvolge anche
la relazione, sia puremomentanea, che si
instaura tra le persone (cioè tra l'agente
ed il familiare della vittima).Anzi, secondo
gli studiosi, proprio questa “relazione”
rappresenta il primo strumento di cui può
servirsi l'operatore per strutturare una
comunicazione che non si risolva solo
nel dare la (cattiva) notizia, ma che aiuti
la persona che la riceve ad ottenere le
risposte di cui in quella tragica situazione
ha bisogno.
Un tentativo di trovare i modi e le risposte
giuste, in altre parole di definire le buone
pratiche di comunicazione del decesso,
in Italia è stato fatto con riferimento al
personale sanitario e molto poco agli
operatori di polizia. Gli studi, diciamo, si
sono svolti su due blocchi di riferimento:
alcuni (Parrish, Holdren, Skiendzie lewski
e Lumpkin 1987) hanno analizzato un
gruppo di persone destinatarie della
notizia del decesso; altri (Stewart, Lord
e Mercer, 2001) ha raccolto invece le
esperienze raccontate dagli operatori.
Insomma, due inchieste speculari, basate
sulle esperienze su opposte posizioni:
quella di chi ha dato e quella di coloro
che hanno ricevuto la notizia. Ne sono
state tratte indicazioni operative utili: dalle
reazioni del primogruppo si èper esempio
rilevato che per il familiare l’opportunità di
vedere il corpo della persona deceduta in
compagnia di operatori dall'atteggiamento
supportivo, accogliente e rassicurante,
è stata associata con un alto livello di
soddisfazione nei confronti del personale
intervenuto.
E questo conferma, come si diceva,
che relazione e comunicazione sono due
aspetti inestricabili tra loro. Dalle interviste
ai familiari a cui era stato comunicato
il decesso, invece, si è compreso che
gli stessi preferivano ricevere la notizia
il più presto possibile e che cercavano
risposte alle loro domande sull’evento
senza distorsioni o omissioni. Insomma,
meglio dire le cose come stanno, senza
mistificare la verità.
Dall'altra parte, la ricerca condotta sul
campione di operatori (sanitari) è stata
utilizzata maggiormente per indagare le
dif coltà del compito del comunicatore
e le reazioni a esso associate, così
da poter individuare utili elementi per
la formazione. A questo proposito, il
professor Prati cita un'analisi svolta
con il coinvolgimento di 245 operatori
che si occupano di comunicazione del
decesso. Nelle risposte aperte l’83%
degli intervistati ha menzionato almeno
una delle seguenti quattro categorie di
aspetti dif cili: per il 36%, la dif coltà
maggiore riguardava i dettagli speci ci
della comunicazione (cosa dire, cosa
fare, come presentarsi, come dare la
notizia e come introdurla, ecc.); per
il 30%, come rispondere alle reazioni
dei familiari (dare assistenza, gestire
la rabbia e l’ostilità); per l’11%, come
gestire le proprie reazioni emotive sia
durante che dopo la noti ca e, in ultimo
per il 6% il bisogno di conoscere altri
aspetti collegati all'evento (es. a chi
rivolgersi successivamente, le procedure
amministrative, ecc.).
In uno studio degli psicologi Stewart,
Lord e Mercer (nell'anno 2000) condotto
con il medesimo campione, gli autori si
sono focalizzati sulle reazioni emotive dei
familiari che causano maggiore stress
negli operatori. La reazione indicata come
più dif cile da gestire riguarda i tentativi
autolesionistici. In ordine decrescente
troviamo gli acting-out di tipo sico (ad
esempio, rompere oggetti o rovesciare
i tavoli), gli attacchi di ansia o panico
molto intenso, gli scoppi improvvisi e
incontrollabili di pianto, la rabbia e la
dissociazione.
Gli operatori di polizia stradale costretti
a comunicare la morte, rispetto ad altri
gruppi professionali (es. medici) che
svolgono la medesima incombenza, si
confrontano con decessi caratterizzati
(diversamente dagli altri, ad esempio
morti a seguito di malattia cronica) dalle
seguenti quattro caratteristiche: sonomorti
inattese, perché tendono ad accadere in
modo improvviso e senza avvertimento;
sonopremature, perchéspesso riguardano
persone che muoiono in modo precoce
e innaturale; sarebbero state evitabili,
perché essendo la diretta conseguenza di
un comportamento negligente o scorretto
di un altro, attivano questioni relative alle
responsabilità; sono violente, perché
possono dar luogo a effetti violenti e
mutilanti sul corpo.
Gli effetti sull'operatore di polizia,
come abbiamo detto, sono latenti ma
si stratificano nella psiche generando
stress.
I sintomi più frequenti del disturbo
post-traumatico da stress legati a questo
speci co compito (la comunicazione del
decesso) sono: l’intrusione di immagini
dolorose riguardanti l’evento, il disagio
nel vedere qualcosa connesso all’evento,
la sensazione di stare sempre vigile e
attento. L’effetto è tendenzialmente di
tipo cumulativo, in quanto il numero di
comunicazioni del decesso effettuate
tende a correlare con un maggior rischio
di disturbo da stress post-traumatico. Fra
i segnali di stress esperiti emerge che
il numero di volte in cui si è prestato il
servizio di comunicazione del decesso
correla positivamente con una maggiore
frequenza di episodi di scatti d’ira con i
familiari a causa dello stress accumulato
sul lavoro. Il proprio lavoro di operatore
di polizia stradale viene percepito come
più pericoloso all’aumentare del numero
di comunicazioni del decesso effettuate.
Inoltre, al crescere delle volte in cui si è
comunicato il decesso, si tende ad avere
un maggiore timore delle menomazioni
siche. Gli effetti potrebbero essere
anche più avanzati, riscontrandosi casi
in cui chi svolge conmaggiore frequenza
comunicazioni del decesso tende anche
a esperiremaggiori crisi d’ansia e tremori
incontrollabili. In ne, al crescere delle
comunicazioni del decesso effettuate
aumenta anche la disponibilità a offrire
sostegno psicologico ad altri colleghi in
dif coltà per aiutarli a gestire meglio le
situazioni stressanti.
Nel testo
“Il Prontuario delle indagini
di polizia giudiziaria nei reati stradali
”
(Terracciano-Girella) i soci Asaps
troveranno un intero capitolo dedicato
alle buone pratiche di comunicazione
del decesso nei casi di omicidio stradale.
*Presidente della Fondazione
ASAPS SSU
Professore in Tecniche
dell'Investigazione presso
l'Università di Bologna
ugo.terracciano@asaps.itLa comunicazione
del decesso nei casi
di omicidio stradale:
gestire il dolore
dei familiari,
contenere lo stress
post-traumatico
dell'operatore
di polizia
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Il manifesto del Progetto Chirone della Polizia di Stato
Linee guida per l’operato di polizia nell’approccio con le vittime di incidenti
stradali e ferroviari